Sentite qua: “Non curano l’influenza e li ingeriamo dai cibi, così i batteri si ribellano agli antibiotici”. E poi: “In Italia il 70% degli antibiotici venduti finisce negli allevamenti”. Sono solo due titoli dei tanti recenti articoli che denunciano le responsabilità degli allevamenti intensivi nella gravissima situazione sanitaria in cui il nostro Paese versa, a causa del sempre più grave fenomeno denominato “antibiotico-resistenza”.
Due articoli pubblicati dal Sole 24 Ore e da La Repubblica rispettivamente giovedì e venerdì scorsi. Un’informazione puntuale, rigorosa e documentata che riferisce di come l’Italia sia prima in una classifica di cui non si può di certo andare fieri: quella dei decessi di soggetti le cui patologie non riescono ad essere curate a causa della resistenza agli antibiotici di cui al giorno d’oggi gravemente soffriamo.
I dati sono allarmanti: con oltre 10mila decessi dei 33mila circa registrati in Europa ogni anno, il “Bel Paese” ha il triste primato di queste morti all’interno dell’Unione Europea. “L’abuso di antibiotici negli allevamenti”, sostengono i responsabili di CiWF (Compassion in World Farming) sta contribuendo a creare un’era post-antibiotica che potrebbe provocare più decessi del cancro entro il 2050”.
Su questa tematica le informazioni rincorrono le informazioni ormai da alcuni anni, ma un grido d’allarme perentorio è stato lanciato purtroppo solo di recente dalle principali organizzazioni della salute pubblica: già in gennaio dal Ministero della Salute e più di recente a seguito di un’azione congiunta che quel dicastero ha avviato con l’Istituto Superiore di Sanità, dopo che l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha ribadito e intensificato le azioni già intraprese da anni su questo fronte.
Il negazionismo di Mamma Rai
Purtroppo, e duole dirlo, in barba alla salute della gente, si registrano casi di “negazionismo” che non si può escludere siano legati se non ad interessi lobbistici quantomeno alla volontà di non indispettire qualche potentato. Un fenomeno assai grave, soprattutto quando certi comportamenti riguardano esperti del settore sanitario; gente che non può non sapere come stanno le cose.
Il caso più eclatante è andato in onda sulle frequenze di Radio3 Rai venerdì scorso e la cosa più clamorosa è che sia avvenuto all’interno del contenitore quotidiano “Radio3 Scienza”.
A rendersi responsabile di un’operazione tanto clamorosa è stato il Prof. Marco Tinelli, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Malattie Infettive e Tropicali dell’Azienda Ospedaliera di Lodi, che è anche Segretario Nazionale della Simit, la Societa’ Italiana di Malattie Infettive e Tropicali.
Dopo aver trattato per gran parte del suo intervento unicamente di uno degli aspetti secondari della questione – vale a dire del “vizio” di molti italiani di autosomministrarsi antibiotici, e solo dopo essere stato sollecitato dalle domande degli ascoltatori sulle responsabilità dell’industria alimentare, solo allora dicevamo, il Prof. Tinelli ha dapprima minimizzato, affermando che “le cose stanno migliorando” (si ascolti lo streaming audio al minutaggio 19:45-20:00) e poi si è lanciato nella difesa incondizionata della zootecnia intensiva.
«Voglio sfatare la diceria, sui cibi», ha detto Tinelli, affermando che «il sistema veterinario è estremamente efficiente”, aggiungendo che «ogni prodotto (alimentare) è controllato» e che le pratiche antibiotiche vengono sospese «tre mesi prima (della macellazione) dall’allevatore» (streaming audio qui: 22:55-24:03).
Tutto questo senza che la redazione, ovvero il conduttore del programma, abbia minimamente osato obiettare alcunché, e questo appare assai strano, dal momento che ogni trasmissione viene preparata per tempo dallo staff, che attinge a fonti di informazione autorevoli e alla rassegna stampa, che in quei giorni era ricca di articoli come i due da noi citati all’inizio di questo pezzo.
Una vicenda che sarebbe seria se i responsabili fossero altri operatori dell’informazione, diventa gravvissima proprio perché coinvolge uno degli organi del servizio pubblico, che dovrebbe avere tra i principali fini l’interesse del cittadino, non certo quello delle lobby industriali.
25 novembre 2019