Mai come oggi la parola d’ordine per l’allevatore ed il casaro dev’essere “prudenza”. Prudenza che fa rima con “competenza”: le due armi con cui far fronte alle innumerevoli innovazioni che vengono proposte, in entrambi gli àmbiti, in maniera sempre più incessante.
I venditori di “soluzioni” (e di favole) sono ben edotti (ammaestrati) dai loro datori di lavoro (mandanti), hanno la parlantina sciolta e troppo spesso si trovano davanti interlocutori muti, un po’ per timidezza o soggezione, un po’ – diciamolo – per totale ignoranza. Venditori che – pensateci bene – appartengono quasi sempre alla categoria canaglia che prima induce il problema, e poi ha la soluzione per risolverlo.
Il gioco di lor signori è quello di mantenere questo povero mondo produttivo (povero perché rarissimamente ricco di un “sapere”) nel precario equilibrio di chi oggi sta male – sapendo che potrebbe stare anche peggio – e domani si prepara a firmare l’ennesima delega in bianco, pensando “quando passa il tecnico gli chiedo di aiutarmi”. Sempre ovviamente fidandosi – “alla cieca” – perché in fin dei conti se non hai i mezzi (la conoscenza innanzitutto) per fronteggiare i problemi, deleghi. Soprattutto di fronte alla necessità di operare delle scelte importanti.
Liberarsi dalle schiavitù, tornando all’erba e al fieno
Curioso è che parlando – come ci è capitato di fare – con chi nell’ultimo lustro ha convertito da zootecnia intensiva ad estensiva, tutti ci abbiano detto tante cose interessanti ma diverse: sulla scelta della razza, sulla ristrutturazione della stalla, sull’impianto dei prati-pascoli, sulla gestione della materia prima. Una però li accomuna tutti, al di là delle diverse strade intraprese (chi fa gelato avendo purtroppo vacche Frisone; chi imbottiglia latte avendo scelto la Guernsey per la digeribilità della caseina A2): in tutte le aziende interpellate ci siamo sentiti dire che «con l’alimentazione a base d’erba – o di fieno – finalmente abbiamo capito cos’è il vero benessere animale». “Sì, vabbé”, chiederà scettico qualcuno, “come lo si misura questo benessere?”. “Ma in maniera molto semplice”, è la lampante risposta: “ con il fatto che in quelle aziende il veterinario non lo si vede quasi più, mentre prima era uno di casa”.
“Meno veterinario”, pensateci bene, equivale non solo a minor spesa per esso stesso ma anche per i farmaci. Meno farmaci – e meno problemi di salute – portano ad una maggiore longevità per la mandria, o per il gregge che sia. Non sarà una vera e propria equazione, ma il coro degli interpellati dice questo, e dice che le spese si sono abbassate in generale e in ciascun centro di spesa di cui il management aziendale sia composto.
Parole incise nella mente, quelle del Prof Cavallero
A noi, pensare tutto ciò, ci induce a risentire, vivide e perentorie, le parole con cui il grande (grande uomo di scienza e di cultura, grande divulgatore, ndr) Prof. Andrea Cavallero arringò anni fa una platea di allevatori (avemmo la fortuna di essere presenti, nel cuneese) schiavi dei mangimi (insilati di mais, povere le loro bestie, ndr) quando ricordò loro “che alimentare le vacche con erba è la scoperta dell’acqua… (una breve pausa tutt’altro che casuale) fredda!”. Neanche calda – capite? – perché ce lo siamo dimenticati un po’ tutti – e abbiamo bisogno che qualcuno ci svegli dal colpevole sonno della ragione – che “i ruminanti sono erbivori, e” che “per questo erba debbono mangiare”.
Tutto ciò, oltre ad essere utile saperlo e ricordarlo, soprattutto quando qualcuno ci ammannisce idee di comodo sulla qualità del (suo) latte e dei suoi derivati, ci permette di introdurre una notizia che sta rimbalzando sul web, forte di fotografie che possono incuriosire (con una di esse apriamo questo nostro pezzo) in cui si vede una (povera) vacca indossare – di sicuro non per scelta, come accade a certi umani – un visore VR (virtual reality). Bene, anzi male, molto male, perché un’infinità di media web stanno avallando la notizia secondo cui in Russia (la foto arriva dal Paese di Putin, che davvero sembra volere stupirci ogni giorno di più) si starebbero studiando i vantaggi dovuti all’adozione di quell’accessorio per le bovine da latte.
Ne deriverebbero, spiegano come in un coro centinaia di media in tutte le lingue del mondo, un incremento della produzione e un miglioramento della materia prima, e questo perché – ecco la fantasiosa motivazione addotta – i poveri animali vivrebbero liberi dall’ansia della reclusione in stalla.
Lungi da noi l’idea di approfondire una sì bislacca idea – e men che mai la prospettiva di una sua applicazione nel tempo, operata su larga scala – e le argomentazioni che ne hanno accompagnato la presentazione, rimaniamo esterrefatti nell’apprendere inoltre che la stravagante iniziativa abbia coinvolto, oltre ad un caseificio a caccia di notorietà, anche il ministero agricolo di quel Paese.
Sarà forse per i grandi investimenti operati nel settore, e per l’intraprendenza che porta la Russia ad essere sempre più indipendente nell’approvvigionamento di formaggio, sarà anche per l’entusiasmo che sta montando in alcuni per i primi premi recentemente vinti nei concorsi internazionali (e per l’invidia dei loro concorrenti), ma quel che risulta evidente è che nel Paese di Putin qualcuno stia perdendo il senso della misura. Non solo e non più per le scelte di una politica estera raramente condivisibile, ma anche in molti àmbiti della vita sociale e reale del Paese.
Pensare che si possa credere che due suggestioni – quella di essere libere, nella schiavitù, e quella di mangiar erba mentre si viene alimentati a insilati di mais – possano sortire in quei doppiamente sfortunati animali effetti concreti sulla qualità reale del latte (che è fatta di acidi grassi migliori o peggiori), è questione totalmente risibile. La cosa che più lascia perplessi, indignandoci un po’, è che tanti giornali stiano diffondendo una notizia del genere, senza suggerire nei lettori un benché minimo refolo di dubbio.
In tempi di fake news a pioggia, e di tanta e diffusa disponibilità a berle, da parte della gente – magari dopo aver visionato appena una foto e un titolo – l’avallamento di una simile idea appare, più che una classica bufala, una vera e propria vaccata, oltre la quale – chissà – i venditori di favole di cui parlavamo all’inizio potranno pensare – prima o poi – di poter inserire anche questa (di fianco a braccialetti contapassi, spazzole rotanti e giostre di mungitura) nelle loro “splendide” proposte per una (cosiddetta) “zootecnia di precisione”.
3 dicembre 2019