
Storia e preistoria dell’ambiente alpino sono un poco più a fuoco di quanto lo fossero in passato, grazie alla pubblicazione di un interessante lavoro di ricerca, coordinato dall’Università di Pisa, teso a documentare i cambiamenti introdotti dall’antropizzazione a partire dall’Età del Ferro, vale a dire poco meno di 2.800 anni fa.
Il lavoro ha permesso al gruppo di ricerca – coordinato dalla paleo-climatologa Eleonora Regattieri e dal professore di geochimica Giovanni Zanchetta, del Dipartimento di Scienze della Terra dell’ateneo pisano – di analizzare una colata stalagmitica proveniente dalla Grotta di Rio Martino (nel comune di Crissolo, in Valle Po), nelle Alpi occidentali del Piemonte per comprendere le trasformazioni indotte. Le analisi di laboratorio che sono state condotte sul reperto – definito dagli specialisti un vero e proprio “archivio naturale” – hanno permesso di studiare l’impatto che in 9mila anni l’uomo ha indotto sull’ambiente alpino con la sua presenza.

I risultati della ricerca, pubblicati giovedì 28 novembre sulla rivista Nature (nella rubrica “Scientific Report”), hanno permesso di ricollegare l’instaurarsi dell’attività della transumanza stagionale – che sarebbe divenuto uno dei tratti salienti della futura economia di quelle Terre Alte – ad una maggiore vulnerabilità del suolo rispetto a quanto indotto da altri fattori, come le precipitazioni atmosferiche e le variazioni climatiche.
Le produzioni casearie alla base di rilevanti cambiamenti
«Nella regione alpina», ha sottolineato Regattieri, «l’inizio dell’Età del Ferro ha coinciso con lo sviluppo delle tecniche casearie. La possibilità di conservare e trasportare il latte prodotto in estate coincide con l’inizio dell’utilizzo permanente dei siti di alta quota e lo sviluppo della moderna economia alpina, tutte attività che impattano sull’ambiente e soprattutto sul suolo».
«Nel periodo compreso tra i 9.800 e i 2.800 anni fa», prosegue la ricercatrice, «quando la pressione antropica nei siti di alta quota era scarsa, l’erosione del suolo appare legata soprattutto a contrazioni naturali della vegetazione, dovuti a momenti di riduzione delle precipitazioni. A partire dall’Età del Ferro – 2.800 anni fa – i dati geochimici evidenziano invece un drastico cambiamento nella risposta del suolo, che determina una maggiore erosione in risposta al brusco aumento delle precipitazioni».
Su questo aspetto è il Prof. Zanchetta ad aggiungere che «il record di Rio Martino suggerisce un profondo e precoce impatto delle attività umane sui naturali processi della cosiddetta “Zona Critica”, che nelle Alpi – come altrove – è quella “pelle” che riveste il nostro pianeta, dalle acque sotterranee sino all’apice della vegetazione, e che tramite una rete di complesse interazioni tra le diverse componenti biotiche ed abiotiche, determina la disponibilità di risorse che rendono possibile la vita sulla Terra».
Lo studio delle proprietà geochimiche e magnetiche della concrezione della grotta di Rio Martino ha infatti consentito ai ricercatori di mettere in relazione le informazioni locali – relative al suolo e alla vegetazione – ai parametri climatici che agiscono su scala regionale, includendo tra essi anche il regime idrologico.
«Come ben sappiamo», ha aggiunto Zanchetta, «l’attività umana trasforma gli ambienti e l’ecologia terrestre da migliaia di anni, in un processo che negli ultimo secoli si è fatto sempre più imponente, sino a cambiare la composizione dell’atmosfera e influenzare il clima stesso del nostro pianeta. Quando tutto questo sia cominciato e con quanta intensità sono domande che come ricercatori ci poniamo, anche nell’ottica di prevedere e mitigare i possibili cambiamenti futuri indotti dall’attività umana».
Cos’è e perché è così importante la cosiddetta “zona critica”
La zona critica della Terra è il complesso sistema di processi fisici, chimici, biologici e geologici accoppiati che operano insieme per sostenere la vita sulla superficie terrestre. Questa interfaccia dinamica si estende dalla cima della vegetazione alla base delle acque sotterranee attive, ed è un involucro in continua evoluzione in cui il suolo rappresenta una componente chiave. Questa zona è definita “critica” perché regola l’habitat naturale e determina la disponibilità di risorse che sostengono la vita, ma anche perché è sempre più influenzata dalle attività umane, in particolare il cambiamento dell’uso del suolo e della copertura del suolo, che hanno effetti di lunga durata sui processi ambientali vicini alla superficie
3 dicembre 2019
Lo studio (in lingua inglese) è raggiungibile cliccando qui