Inquinamento: le vacche mangeranno aglio per ridurre l’impatto ambientale

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C’è davvero da rimanere stupefatti nel documentarsi sulle infinite proprietà dell’aglio (vedi sui siti web di Riza e MyPersonalTrainer). Quello che tutti pensiamo come un semplice ingrediente di molte preparazioni gastronomiche è una delle piante medicinali più importanti che la natura ci offra, dotata di infinite proprietà salutari e curative.

A pensare di utilizzarlo per contenere il problema delle emissioni di CO2 nell’atmosfera da parte dei ruminanti sono stati – in due recenti e distinti studi – sia l’Rcs (Royal College of Scotland) di Glasgow che l’Inrae (Institut National de Recherche Agronomique en Europe) di Parigi, già Inra.

Come si sa da anni, il problema delle emissioni di gas serra causate dagli allevamenti di bestiame è assai rilevante, essendo imputati ad essi il 15% della CO2 ed il 33% del metano prodotti complessivamente dalle attività antropiche. E questo “a causa sì della flatulenza”, spiegano gli esperti francesi, “ma anche e soprattutto dei loro rutti”.

Una problematica allo studio da più di 10 anni
Sollecitati a studiare il fenomeno, e ad indicare soluzioni utili per contrastarlo, in vari Paesi del mondo i ricercatori avviarono gli studi già nel primo decennio di questo secolo, focalizzando l’attenzione sul metabolismo del cibo. Osservazione, analisi e ricerca hanno così condotto vari gruppi di esperti a convergere su una prima considerazione, vale a dire che il degrado del cibo nel rumine dell’animale, attraverso l’azione di specifici batteri, porta una vacca da latte a produrre mediamente 90 chili di metano ogni anno.

Dopo i primi studi, in cui vennero somministrate integrazioni a base di semi di lino, con una riduzione media nella produzione di metano attorno al 20%, i ricercatori decisero di testare l’effetto dell’aglio, a cui da sempre la medicina riconosce eccellenti proprietà antibatteriche e una forte capacità di regolare le attività dell’apparato gastrointestinale.

Attraverso i test compiuti e affiancati dalla svizzera Mootral – specializzata nella produzione di integratori naturali per animali d’allevamento – gli studiosi hanno così valutato l’uso dell’aglio nell’alimentazione delle lattifere, sia dal punto di vista della sua somministrazione che della riduzione delle emissioni inquinanti (da un -30% ad un -38% quando associato ad estratti di agrumi), sia da quello delle controindicazioni, che non si sono evidenziate né in maniera diretta, sull’animale, né in quella indiretta, sul prodotto, apparso esente da caratterizzazioni aromatiche riconducibili all’aglio.

Gli studiosi californiani prendono un’altra strada
Gli studiosi saranno ora impegnati a decifrare delle indicazioni divergenti giunte da studi similari condotti in California, nei quali ad esempio non sono stati rilevati significativi effetti (ma una riduzione del -23%) se non a partire dal quinto mese di somministrazione. Dal canto loro, i californiani hanno già avviato una ricerca sull’uso di alcune alghe, che porterebbero – a quanto si dice – ad una riduzione del 60% delle emissioni.

Nel frattempo i tecnici della Mootral hanno dato la prima forma concreta a tanti studi, mettendo a punto un primo integratore a base di aglio ed estratto di agrumi, di cui è stata determinata sia la formula sia la dose giornaliera, di 15 grammi per ogni bovino adulto. Il costo dell’integratore per capo assomma a 60€ annue.

La domanda che è lecito porsi ora è relativa alla disponibilità da parte degli allevatori a pagare un costo aggiuntivo per una questione su cui al momento non esistono né obblighi di legge né tassazioni. Perché dovrebbero spendere di tasca loro dal momento che non sono costretti a farlo?

Nella prevedibile prospettiva che il prodotto faticherà ad affermarsi se non a seguito di una nuova e specifica eco-tassa – e delle relative sanzioni – c’è da sperare che almeno qualche allevatore inizi a utilizzare il prodotto, sfruttando poi, ad uso del proprio marketing, i non pochi argomenti che ne deriveranno.

13 gennaio 2020