Per i propositi insiti in esso, il progetto di LacToLab, start-up dell’Università degli Studi di Bologna, merita senz’ombra di dubbio i migliori auspici. Se qualche perplessità sul suo futuro può essere espressa, essa si palesa nell’àmbito stesso in cui l’attività nasce, senza particolari prospettive imprenditoriali, rischiando di rimanere meteora – al pari di altre iniziative nate per il recupero di quella risorsa – nel campo dei bei propositi e delle utopie non realizzate.
Diverse iniziative analoghe si sono sinora espresse senza grandi sbocchi concreti, in Italia e all’estero, in tema di riciclaggio del siero e della scotta, che poi è il liquido di risulta che si ha dopo la lavorazione della ricotta. Liquidi che – a norma di legge – andrebbero gestiti come rifiuti speciali (quindi gravare sui costi di esercizio), a meno che, oggi come un tempo, come accade ancora talvolta nel mondo rurale, non vengano utilizzati, assieme ad un po’ di buona crusca e sfarinato, nell’alimentazione domestica dei maiali. O, come l’industria suol fare dietro le quinte di uno splendore tutto da dimostrare, traendo grassi poco nobili per burri altrettanto poco nobili, da filiere che più che il nome non hanno da spendere.
Tornando a LacToLab, la sua particolarità risiede nella possibilità di ricavare siero dal latte ritirato dal commercio in quanto scaduto o prossimo alla scadenza. Un derivato del latte che – dichiarano i suoi artefici – verrebbe utilizzato nei laboratori di ricerca biomedicale, in alternativa ad una sostanza ottenuta dai feti dei bovini.
All’inizio di questo mese – è questa la notizia del momento – le parti hanno ratificato un nuovo accordo quinquennale per ampliare la partnership e aprirla a nuove iniziative nel campo della formazione, dell’orientamento al lavoro, dell’open innovation e dell’autoimprenditorialità.
Secondo il rettore di Alma Mater, Francesco Ubertini, «sarà una collaborazione ad ampio spettro». Una collaborazione nell’àmbito della quale, a quanto pare, sono nati progetti di nuova imprenditorialità e propositi innovativi, in seno a cooperative esistenti, oltre a qualche start-up, ma la sfida vera e propria arriverà quando la teoria e la pratica di laboratorio incontreranno il mercato, e quando saranno finiti i fondi che tengono in piedi questo genere di attività. Solo allora gli attori impegnati sulla scena di LacToLab dovranno mettere mano ai loro patrimoni per proseguire in un’impresa che si prospetta non poco impegnativa.
Il nuovo accordo, che ha una durata di cinque anni, include collaborazioni nell’àmbito della ricerca finalizzate allo sviluppo di progetti, di bandi e programmi, alla assegnazione di aiuti economici (assegni e borse di studio) per lo svolgimento di attività di ricerca, di borse di dottorato, alla creazione e all’accesso condiviso a infrastrutture di ricerca e a laboratori comuni, alla promozione di iniziative di divulgazione dei risultati che la ricerca permetterà di conseguire.
Per ciò che concerne la didattica, il protocollo sottoscritto conferma l’organizzazione congiunta di attività formative: dai corsi di formazione post lauream ai corsi di alta formazione permanente, dalle scuole di specializzazione, ai corsi di aggiornamento e riqualificazione, dalle summer e winter school ai corsi integrativi per neolaureati e dottorati di ricerca. Dal canto suo, l’Università felsinea ha già dato il via libera alla nascita di uno nuovo spin-off, una cooperativa sociale che si occuperà di bilinguismo e psicologia dell’apprendimento.
Oltre le collaborazioni intrecciate con altri istituti, oltre i premi ricevuti – l’ultimo dei quali all’interno di Think4food 2019 – bisognerà quindi vedere se e quando da questa esperienza nascerà una realtà operativa in grado di dare consistenza economica ai propositi palesati, dimostrando cioè di saper garantire tanto posti di lavoro quanto l’erogazione di servizi al mondo scientifico. Il tutto peraltro sostenendo, non secondariamente, un fare ecologico che l’industria dovrebbe tenere in maggiore considerazione, su tutta la filiera produttiva.
Come prevedibile a quelle latitudini, nel progetto è coinvolta anche Granarolo, che – si spera – avrà modo questa volta di concretizzare dei propositi apprezzabili, laddove in passato (pensiamo alla bottiglia 100% in eco-plastica presentata all’Expo di Milano, nel 2015), per qualche motivo, non è riuscita a farlo.
17 febbraio 2020