Ciclicamente, ogni anno, l’arrivo della stagione invernale coincide, in Pianura Padana, con un’atto anti-ecologico tra i più gravi che la zootecnia intensiva possa compiere ai danni dell’ambiente. Come se in quelle aree gli allevatori non ci vivessero essi stessi, con le loro famiglie. Come se l’ambiente non fosse un patrimonio comune ma un vero e proprio immondezzaio.
A differenza però degli anni passati, stravolta lo spargimento di massa non è avvenuto nella forma abusiva o para-abusiva sempre troppo tollerata in passato, ma con una sorta di benestare del Ministero delle Politiche Agricole. Benestare arrivato in dicembre con una circolare che ancora grida vendetta: per venire incontro agli allevatori, due mesi fa il Mipaaf autorizzò in via straordinaria la distribuzione dei reflui nei due mesi in cui (dicembre e gennaio, ndr) essa è vietata dalla direttiva europea, sia per questioni ambientali che climatiche (terreni già molto bagnati e/o ghiacciati, che non possono assorbire i suddetti liquami, ndr).
Ora che il risultato visibile è quello di un’infinità di estese paludi maleodoranti e di “colature” schiumose nei canali e in molti corsi d’acqua della Bassa Padana, in particolare in Lombardia (la regione più solerte nell’attuazione della circolare ministeriale), ora che la falda si prepara a ingoiarsi l’intollerabile e di un illecito tramutato in lecito, qualcuno ha detto “basta”, e questo qualcuno ha il nome di un’associazione – Legambiente – che non sempre in passato aveva brillato per capacità di intervento e di denuncia.
Stavolta invece, viste anche la correità del dicastero interessato, e dopo aver pesato situazione ambientale e le drammatiche prospettive future, la storica associazione ambientalista ha deciso di intervenire, e lo ha fatto con una denuncia-esposto indirizzata all’Unione Europea.
“Volumi crescenti e ingestibili di liquami zootecnici inquinano suolo, acqua e aria. Campi agricoli sono usati come siti per smaltimenti all’aria aperta. Occorre un taglio ai sussidi destinati agli allevamenti intensivi”. Questa in sintesi la posizione di Legambiente, che in un comunicato ufficiale denuncia: “Serve un piano nazionale per fermare gli eccessi degli allevamenti intensivi, trasferendo le risorse europee a beneficio della zootecnia sostenibile nelle aree interne”.
“Ogni anno la stagione fredda in Pianura Padana”, prosegue Legambiente, “ripropone il tormentone dei liquami zootecnici: milioni di tonnellate di materie fecali e liquidi maleodoranti prodotti dagli allevamenti intensivi, soprattutto di bovini e suini, in attesa del momento adatto per essere distribuite sui campi: in inverno la terra agricola non è in condizioni di riceverle, perché satura d’acqua o addirittura ghiacciata, le vegetazioni sono in fase di riposo, e quindi non possono assimilarne i nutrienti, ma le cisterne di stoccaggio inesorabilmente traboccano dei liquidi drenati da stalle e porcilaie sempre più immense”.
“Questo inverno”, prosegue l’associazione ambientalista, “la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la circolare alle regioni con cui il Ministero delle Politiche Agricole, in dicembre, per venire incontro agli allevatori, ha autorizzato l’impiego di liquami anche nei mesi di dicembre e gennaio, mesi in cui – per rispettare la direttiva europea – vige il divieto di spandimento. Con il risultato di produrre immensi sciacquoni, che hanno formato estese paludi maleodoranti e colature schiumose nei corsi d’acqua della Bassa Padana ed in particolare nelle province della Lombardia, la regione più solerte nell’attuazione della circolare ministeriale”.
Tra gli effetti immediati, oltre alle proteste di residenti e comitati, è stato registrato anche un repentino aumento dei valori atmosferici del PM10 nei giorni centrali di gennaio, uno dei periodi di aria più inquinata del decennio. Questa circolare, che Legambiente aveva invano chiesto di ritirare, è al centro della denuncia fatta dalla stessa associazione ambientalista e trasmessa martedì scorso 18 febbraio agli uffici della Commissione Europea, contestando la violazione di ben quattro direttive, in materia di acque, aria, rifiuti e inquinamento da nitrati.
«Gli spandimenti selvaggi che abbiamo descritto nella denuncia alla Ue», ha sottolineato il coordinatore della presidenza del comitato scientifico nazionale di Legambiente, Damiano Di Simine, «non possono in nessun caso essere spacciati per pratiche agricole: si è trattato di attività di smaltimento di rifiuti pericolosi su vasta scala, avvenuta con il benevolo assenso del Mipaaf, ma con effetti deleteri per la salute e per gli ambienti acquatici. Non siamo più disposti a tollerare pratiche nocive da parte di una zootecnia che, in Pianura Padana, ha passato il limite».
«Invece di autorizzare sversamenti di liquami», rincara la dose Di Simine, «il Mipaaf dovrebbe predisporre con le regioni un programma nazionale di riduzione dell’intensità di allevamento in Pianura Padana, trasferendo le risorse comunitarie a beneficio della zootecnia sostenibile e delle aree interne. Nella prossima programmazione dei fondi europei per l’agricoltura, se davvero si vorranno perseguire le sfide climatiche ambientali della riforma Pac, occorrerà un deciso taglio ai sussidi dannosi destinati agli allevamenti intensivi».
Legambiente ricorda che nelle quattro regioni della pianura Padano-Veneta si concentra oltre l’85% di tutti i suini allevati in Italia, e oltre i 2/3 di tutti i bovini nazionali. Una densità di animali allevati che ha pochi eguali in Europa e che rappresenta, in termini di massa biologica, l’equivalente in peso di 50 milioni di esseri umani, come dire oltre il doppio della popolazione residente.
Ma mentre le umane deiezioni vengono intercettate dalle fognature e trattate dai depuratori, per gli animali allevati non c’è alternativa allo spandimento nei campi: una pratica che può funziona quando le quantità sono appropriate e le colture richiedono fertilizzanti. “È d’inverno”, insiste Legambiente nel suo comunicato, “che i liquami diventano un incubo, per gli allevatori che vedono riempirsi le cisterne, ma soprattutto per le popolazioni residenti, che devono sopportare miasmi e inquinamenti, gravi e dannosi per la salute: le deiezioni zootecniche sono all’origine delle emissioni di ammoniaca, gas che si combina con i micidiali NOx per formare sali d’ammonio, che compongono fino al 50% del particolato sottile per cui l’Italia è sotto procedura d’infrazione europea, per avere omesso di prendere misure appropriate per ridurre i periodi di superamento”.
“E se rendono l’aria irrespirabile”, prosegue l’associazione, “non va meglio per l’acqua: i composti azotati in eccesso infatti sono all’origine dell’inquinamento da nitrati di fiumi, canali e falde acquifere da cui attingono pozzi e acquedotti, un problema così grave da aver spinto l’Europa, già nel 1991, a promulgare una direttiva per la protezione delle acque da questo specifico inquinamento”.
Con la sua azione, Legambiente coglie l’occasione per ribadire che “occorre favorire con decisione la riconversione degli allevamenti intensivi verso progetti che riducano significativamente le densità degli animali per superficie e rispettino il benessere animale, comprese le esigenze etologiche e ambientali delle diverse specie allevate”.
Una domanda a cui ognuno può rispondere, riflettendo
Una domanda, apparentemente ingenua, la vogliamo ora porre: con la progressiva riduzione della richiesta di latte, qualcuno può forse pensare di ridimensionare la produttività degli allevamenti, riducendo le forzature a cui sono sottoposti? Forse no, purtroppo.
“Forse” il sistema-latte, che malamente è arrivato sin qui davanti alle proprie indifendibili responsabilità, si ostina a mantenere uno status quo in cui campano un’infinità di tecnici, venditori, spacciatori, fornitori e lobby che vivono anche e soprattutto del malessere che il loro sistema ha generato negli anni: dall’acidosi ruminale della bovina alla sua zoppia, dalla mastite all’ipofertilità, solo per citare alcune delle problematiche che insistono sul bestiame.
Ed è proprio su questo che quel sistema vive: sul malessere che esso stesso ha generato. E chissà che guardando bene non si possa scoprire che anche noi consumatori siamo nutriti da quel sistema per stare male, per poi essere noi stessi curati. Magari dalle stesse multinazionali che producono mangimi, o farmaci per la zootecnia.
Il futuro per quanto ci riguarda è nel passato. Il futuro è nell’erba; nell’erba e nel fieno. Guarda caso è nella zootecnia in cui eravamo arrivati, con un minimo di sane integrazioni vegetali aziendali (cerealicole e leguminose) prima che quelle lobby – intorno agli Anni Sessanta – mettessero piede in questo settore.
24 febbraio 2020