
Rincuora scoprire, di tanto in tanto, che qualche ente, politico o istituzione, esprime idee chiare sulla gestione del patrimonio agro-forestale del nostro Paese. Non è facile riscontrare, tra i tanti pronunciamenti in materia una visione corretta, equilibrata, fondata sulla conoscenza e priva di demagogia come quella esposta all’inizio della scorsa settimana da una nota ufficiale dell’Uncem, l’Unione Nazionale delle Comunità Montane.
“Nei giorni scorsi”, sottolinea una nota stampa dell’Unione Comunità Montane, “Uncem ha appreso con sorpresa che i Comuni sono stati raggiunti da nuove proposte e inviti a piantare alberi. Una soluzione semplicistica per affrontare le sfide climatiche ed ecologiche in corso”.
E così, Uncem ha deciso di intervenire, coinvolgendo anche Sisef (Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale), Ordine degli Agronomi e Forestali, Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria) e tanti altri soggetti associativi e istituzionali per contestare, argomentando le proprie sacrosante ragioni, la campagna “60milioni di alberi” partita con molta eco mediatica nei mesi scorsi.
“Se nuovi alberi si vorranno piantare”, sottolinea l’Uncem, “questi vanno piantumati dove serve, nelle aree urbane secondo l’apposita Strategia, nelle zone metropolitane, prevedendo le adeguate essenze e anche efficaci strumenti per la gestione del verde nel futuro”.
E se una cosa è certa, e va ribadita sinché non sarà chiara, è che “nelle aree montane del Paese la necessità non è piantare nuovi alberi. I Comuni alpini e appenninici lo sanno bene. Perché ogni giorno si trovano a lavorare, a cercare risorse, a impegnarsi per una migliore gestione attiva della superficie forestale, 11 milioni di ettari di bosco dell’Italia. Tanti. Che se cresceranno ancora un po’ senza gestione, senza avere una corretta pianificazione, diventeranno sempre più un problema”.
“Questa è la nostra urgenza, questo è anche il lavoro dei Comuni montani, insieme, con Unioni montane e Comunità montane: gestire il bosco che c’è. Per questo, Uncem chiede ai Comuni due cose, urgenti: di continuare percorsi per la gestione attiva dei boschi pubblici e di operare in accordo con i privati (stiamo lavorando anche noi come Uncem per scrivere la Strategia forestale nazionale prevista dalla legge forestale del 2018)”.
E in effetti le cose da fare sono moltissime: tagliare con turni di taglio regolari, realizzare strade e piste, piazzali e pezzi di filiere corte ed efficaci per rendere i boschi più produttivi e protettivi, a vantaggio di protezione dei versanti e difesa dal dissesto.
Per questo, spiega l’Uncem, “sosteniamo le imprese, le cooperative forestali, le associazioni di proprietari e di aziende. Avviamo in Italia, con tutti gli Enti locali protagonisti, una seria politica forestale che incroci industria ed energia, senza separare i problemi della riorganizzazione della proprietà e l’ammodernamento delle imprese”.
Il problema più serio: il bosco che si mangia i prati-pascolo
“La seconda cosa da fare”, argomenta l’Uncem, “è provare a individuare almeno qualche ettaro di superfici, nei nostri Comuni montani, di prato-pascolo. È stato troppo mangiato dal bosco. Ne abbiamo sempre meno. Eppure, l’assorbimento di CO2 del prato-pascolo raggiunge livelli importantissimi. E l’abbandono delle superfici agricole va contrastato con chiare politiche e indirizzi anche da parte dei Comuni. Abbiamo perso troppe aree a pascolo. E biodiversità. E imprese agricole, lavoro, reddito, valore. A farne le spese è l’economia della montagna, tanto più perché invase da un bosco dallo scarso valore”.
I tre pilastri dell’economia di montagna
Dunque, secondo Uncem, a ragione, nei Comuni montani stiamo bene anche con un albero in meno, e anche con meno demagogia, più competenza e più concretezza. L’economia della montagna ha nell’agricoltura, nell’allevamento e nelle gestioni forestali attive tre grandi pilastri. Non perdiamoli e non abbattiamoli raccontando che un albero in più ci protegge sempre e comunque (indipendentemente da dove e come viene messo a dimora) da cambiamenti climatici e mancanza di biodiversità. Un albero in più, ai Comuni montani oggi non serve.
2 marzo 2020