Il siero del latte è al centro delle attenzioni di molti, da quando le normative in materia ambientale lo hanno spostato dall’elenco delle risorse – dov’è sempre stato e dov’era sino a qualche anno fa – alla lista dei rifiuti speciali, per smaltire i quali le aziende che ne producono debbono pagare ditte autorizzate al loro trasporto e smaltimento. A meno che, in base a qualche deroga, il prezioso liquido non possa essere conferito in azienda – come un tempo – ai maiali o alle galline, assieme a crusca, sfarinati et similia.
Lo abbiamo definito “prezioso” perché – è cosa oramai certa – dal liquido di risulta delle lavorazioni casearie possono essere prodotti sia delle bioplastiche, destinate all’eco-imballaggio, sia dei biopolimeri grazie ai quali è possibile prolungare la shelflife di verdure e frutta deperibili, come le fragole. O altrimenti e più semplicemente essere estratti proteine e grassi che l’industria alimentare normalmente acquista.

Ad aggiungere un’utilizzo meno ecologico di quelli su citati – ma umanamente più godibile – se non si disdegnano i superalcolici, è stato giovedì scorso il sito web Atlas Obscura, preziosa fonte di informazione per chi sia interessato all’attualità e agli approfondimenti scientifici. Nella rubrica “Gastro Obscura” l’articolo “The Oregon Creamery Making Vodka From Milk” (trad.: “La Latteria dell’Oregon produce vodka dal latte”) riferisce di un caseificio che, con il supporto del Prof. Paul Huges, docente di “Distillati” alla Oregon State University, ha preso a produrre vodka dal siero del proprio latte. I risultati? Più che soddisfacenti, se si considera che il fatturato aziendale può arrivare ad essere incrementato del 50%. [segue dopo la pubblicità]
Il pezzo, firmato da Luke Fater, riferisce di dozzine di altri caseifici che – venuti a sapere della cosa – avrebbero contattato il proprietario di TMK Creamery – questo il nome dell’azienda – e il docente universitario per una consulenza. Al momento non è dato sapere se la vodka – o vodkow che dir si voglia – sia più o meno buona; l’unica cosa certa è che, per saperne di più basterà cliccare qui e leggere (in inglese) l’interessante e documentato articolo.
23 marzo 2020