Da un recente sondaggio, commissionato nel Regno Unito dalla Arla Food, appare uno spaccato sconcertante sulla percezione che i consumatori di domani – i bambini – hanno del cibo. Ben inteso, nulla che possa meravigliare più di tanto: chi abbia figli in casa o abbia parlato con chi ne ha, ma anche e a maggior ragione chi lavori nel mondo della scuola sa che anche nel nostro Paese il problema è assai diffuso.
In sostanza, stando a quanto comunicato dalla cooperativa danese, un bambino su cinque (21%), nelle scuole di primo grado (dai 6 agli 11 anni) in quel mercato non sa da dove provenga il latte, mentre uno su dieci (11%) è convinto che sia prodotto nei supermercati. Venendo alle interviste raccolte dai ricercatori, esse hanno riguardato anche il pane e cioccolato. Non va meglio al primo dei due, perché il 18% dei bambini coinvolti pensa che esso sia prodotto in una fattoria e va un po’ meno peggio al secondo, già che l’11% ritiene che anche esso sia prodotto lì.
Forte di queste informazioni, ma anche e soprattutto di un canale privilegiato che gli consente di operare all’interno del sistema scolastico del più grande Stato insulare europeo, la Arla ha colto la palla al balzo realizzando un piccolo libro per bambini. Un prodotto editoriale ufficialmente realizzato “per contrastare alcuni miti sull’agricoltura” ma in sostanza destinato a conquistare un posizionamento importante nei confronti di chi tra pochi anni riuscirà a influenzare le decisioni d’acquisto dei genitori.
Nell’ufficializzare la notizia, la Arla ha sottolineato una preoccupazione che accompagna tutti quelli che si occupano di didattica: “Se i bambini sono confusi adesso, c’è il rischio reale che faticheranno a fare scelte corrette anche in campo alimentare, man mano che crescono”.
“Più di un terzo degli intervistati (36%)”, sottolineano alla Arla, “pensa che dal punto di vista nutrizionale, la zucca abbia un valore maggiore del latte”. Ma non solo, visto che per quanto parziale, “a dare una risposta a questa grave carenza” basterà pensare che “poco meno di uno su dieci (9%)” di essi “ricorda di essere stato almeno una volta in una fattoria”.
Intervistata a tale proposito, l’attrice e conduttrice televisiva anglosassone Helen Skelton (il testimonial simpatico non manca mai, ndr), già impegnata in trasmissioni per l’infanzia e madre di due bambini, ha dichiarato di essere cresciuta in un’azienda con caseificio, e di «aver percepito» quindi «la corrispondenza tra ciò che vedevo in fattoria e ciò che veniva portato a tavola». «Sono però consapevole», ha detto la Skelton, «che tanti bambini, non avendo questa opportunità, possono sentirsi molto “scollegati” dal cibo che mangiano».
Un gioco sporco: la narrazione per bambini diventa arma di persuasione
Il libro prodotto da Arla ha quindi il compito di attrarre i bambini nella dimensione della fattoria agricola, per esplorare il processo di produzione del latte e altri meccanismi di quel mondo, attraverso gli occhi di una “mucca-mascotte” denominata Jelly.
L’altro protagonista del volumetto è il contadino Jonny Burridge, che si dichiara orgoglioso di poter migliorare il livello di apprendimento dei consumatori di domani, raccontando non solo da dove arrivi il latte di “mucca” ma anche i cereali che si mettono in esso in una colazione che si rispetti.
Per completare l’operazione editoriale, ovvero commerciale, Arla ha deciso di consentire il download gratuito del volume (dobbiamo ringraziare?), promuovendo la donazione di 15mila colazioni a favore di bambini vulnerabili del Regno Unito, attraverso l’organizzazione no-profit (si fa per dire, visto che qualcuno ci guadagna, ndr) “Magic Breakfast”.
Anche in Italia l’industria si è infiltrata nelle scuole (con un produttore non italiano)
Dal canto nostro, anche in Italia accade qualcosa – e qualcosa di assai poco buono – nel mondo della scuola, purtroppo, visto che il Miur ha confermato alla Parmalat (azienda che, lo ricordiamo, è nelle mani della poco nobile Lactalis, ndr) anche per l’anno scolastico in corso un’operazione altamente speculativa e diseducativa che va avanti da anni e che il ministero ha presentato come “un’opportunità” (sic!), sostenendo che “Parmalat offre le sue competenze in educazione alimentare” grazie al “Prof Strampalat, ai suoi giochi, tutorial, articoli e webinar per le scuole dell’obbligo”. Un po’ come dire “affidiamo i vostri bambini ad un simpatico pedofilo, promettendo di farne uomini e donne sani per un’Italia migliore”.
Ci pare di dire qualcosa di molto ovvio e scontato, sostenendo che le industrie dovrebbero rimanere fuori dal mondo delle scuole, per un evidente conflitto d’interessi che andrebbe evitato come il male più assoluto, nella dimensione educativa basilare dei nostri cittadini, e non solo. E invece no: con colpevole complicità il ministero mette l’ingenuità dei nostri piccoli nelle mani dell’orco, assicurando in un colpo solo il peggio possibile sia ai consumatori di domani che al mondo agricolo, che al dispotismo dell’industria soggiace.
Per quanto elementare, la strategia dell’industria francese proprietaria di Parmalat (una realtà che ha lasciato scie di morte proprio tra i bambini, attraverso le tossinfezioni in cui Lactalis è “specializzata”, ndr) sarebbe palese persino all’ultimo degli idioti, e chissà com’è che nessuno dei nostri governanti si sia posto il problema. Basterebbe guardare oltre confine cosa accade in Paesi civili come la Svizzera, in cui l’educazione alimentare fa parte dei programmi didattici ed è affidata a dietisti, nutrizionisti e medici. Non a venditori di un liquido sempre meno nutriente e sempre più dannoso, in quanto prodotto da animali in cronica sofferenza (l’alimentazione innaturale per degli erbivori, a base di insilato di mais, e la breve vita in perenne segregazione bastino a rammentare quanto questo sia vero, ndr.).
Di fronte a queste piccole grandi contraddizioni è palpabile più che mai la dimensione schizofrenica in cui la società odierna si trova a vivere, in un contesto in cui da una parte ci si rende conto della necessità di fare qualche passo indietro rispetto all’eccessiva industrializzazione (vedi alla voce “pandemie” e “antibiotico-resistenza”, ndr), dall’altra ripete gli errori del passato, come se niente fosse.
30 novembre 2020