Mastite bovina: molti i vantaggi se si utilizza la spettrometria di massa

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Tutti oggi viviamo con un indicibile peso le restrizioni sociali e sanitarie dovute alla pandemia in atto; non pochi hanno perduto familiari, amici, parenti o hanno temuto per la vita di essi. Tutti sappiamo cosa sia il Covid-19, in termini di restrizioni, incertezze, paure per un domani incerto, e per il grande tributo di vite umane sinora pagato in Italia (102.145), in Europa (707.773) e nel Mondo (2.648.137). Un vero flagello, per molti versi imprevedibile ieri, che ci fa riprendere le misure con molti aspetti della vita che avevamo trascurato. 

Detto ciò, e rientrando nel novero delle prevedibilità, di ciò che ci attende ma che irresponsabilmente non ci preoccupa abbastanza, il rischio che stiamo correndo, in una prospettiva neanche tanto lontana, è quello di uscire da una tale sciagura per infilarci in un’altra, altrettanto rilevante eppure da tempo nel “mirino” della sanità mondiale e del mondo scientifico. Stiamo parlando dell’antibiotico resistenza, che incombe sul nostro futuro come lo spettro di una seconda mazzata che rischia di calare sul genere umano non appena ci saremo risollevati da questo duro momento.

Le responsabilità degli allevamenti intensivi
Di antibiotico resistenza abbiamo già parlato su queste pagine fornendo numeri agghiaccianti e un conto economico previsto che forse non ci possiamo permettere. Tanto per riprendere le misure con il problema, converrà ricordare che entro il 2050 solo in Italia si prevedono 450mila morti, che salgono a 2,4 milioni se solo si guarda ai 33 Paesi aderenti all’Ocse, con un costo per il Servizio sanitario pari a 11 miliardi 460mila euro.

Detto ciò torna utile ribadire che la principale causa di questo fenomeno risiede nell’uso smodato che negli allevamenti intensivi si fa degli antibiotici (vi si concentra il 70% dei consumi totali di quei farmaci). Negli allevamenti con una grande concentrazione di animali (galline, polli, pesci, suini, bovini: nessuno escluso) se ne fa spesso uso a titolo preventivo, vale a dire per scongiurare il diffondersi di malattie. Nella zootecnia da latte – quella intensiva ovviamente – lo sfruttamento degli animali comporta un’enorme incidenza delle mastiti. Che gli allevatori hanno sinora curato con terapie antibiotiche.

La situazione è fuori controllo, tant’è che la preoccupazione è alta tra chi si occupi di sanità pubblica, oltre che nella comunità scientifica, che ovunque nel mondo è impegnata a cercare misure per limitare, tamponare, smussare. Non ancora – e chissà quando e “se” – per risolvere.

Nuove prospettive dalla ricerca irlandese
Di tanto in tanto la stampa mondiale ci dà conto di qualche nuova prospettiva possibile, ma soluzioni vere e proprie non ne sono ancora state annunciate, purtroppo: tra le tante però appare interessante una ricerca avviata in Irlanda dall’Igfs (Institute for Global Food Security) della Queen’s University di Belfast, in collaborazione con Afbi (Agri-Food & Biosciences Institute) e AgriSearch.

Il lavoro del gruppo di ricerca irlandese si basa sull’uso della Reims technology (Rapid Evaporative Ionization Mass Spectrometry), la spettrometria di massa a ionizzazione evaporativa rapida, un metodo analitico che utilizza sofisticate strumentazioni di laboratorio per diagnosticare le mastiti con largo anticipo rispetto ai tempi ordinari, partendo da campioni di latte prelevati su capi sospetti (arrossamento e gonfiore della mammella, aspetto anomalo del latte munto).

Pur operando sperimentalmente con sofisticate attrezzature di laboratorio, i ricercatori sono impegnati a mettere a punto una metodologia applicabile in stalla con strumentazioni facili da usare e meno onerose dal punto di vista degli investimenti.

Il progetto irlandese esplorerà anche il potenziale per una più ampia applicazione della tecnologia Reims in ambiti diversi, quali l’analisi della qualità del latte e il monitoraggio della zoppia, altra seria problematica, ricorrente negli allevamenti intensivi.

Normalmente, nella mastite bovina, il conteggio delle cellule somatiche di un campione di latte può essere utile nello screening, in caso di mastite preclinica. La coltura e la valutazione microbica vengono eseguite per determinare il patogeno che causa il fenomeno e, di conseguenza, il miglior trattamento possibile, che tuttora – come accennavamo, purtroppo – è ancora a base di antibiotici. 

Rispetto all’approccio “convenzionale”, con farmaci allopatici, la soluzione Reims – spiegano i ricercatori irlandesi – eliminerebbe la necessità di una preparazione di campioni di latte che richiede molto tempo e, quindi, sarebbe più facile da utilizzare per gli allevatori, con risultati molto rapidi. Inoltre, la veloce identificazione dei patogeni consentirebbe trattamenti più tempestivi e mirati a “spettro ristretto”: una prima grande conquista rispetto alle prassi attuali.

Nell’ambito di un progetto di dottorato presso l’Igfs e la School of Biological Sciences, saranno quindi raccolti campioni di latte da allevamenti che fanno parte della rete AgriSearch e – attraverso Afbi – da vacche con mastite sospetta e confermata, insieme a campioni di soggetti sani.

Lo stesso progetto esaminerà anche la zoppia delle bovine da latte. L’attuale diagnosi di zoppia implica l’osservazione visiva, il che purtroppo significa che spesso tali patologie non vengono diagnosticate sin quando il problema non è in fase avanzata, purtroppo.

Uno studio longitudinale per valutare una molecola o un gene presente in natura sarà condotto su una mandria da latte utilizzando proprio la tecnologia Reims, in modo da identificare potenziali “biomarcatori” che potrebbero segnalare con largo anticipo soggetti con propensione alla zoppia.

15 marzo 2021