La definizione “Prodotto di alpeggio” è gradita al pubblico? Uno studio della Fem

foto del Caseificio Sociale di Predazzo e Moena©

Uno studio molto interessante è stato condotto in Trentino dai ricercatori della Fondazione Edmund Mach e dell’Università dgli Studi di Trento, ed è stato pubblicato martedì scorso 23 marzo sul sito web del Mdpi (Multidisciplinary Digital Publishing Institute), quindi riproducibile integralmente secondo la Creative Commons License.

Eloquente il titolo della ricerca – “Does the ‘Mountain Pasture Product’ Claim Affect Local Cheese Acceptability?”, che tradotto in italiano suona così: “L’affermazione “Prodotto di alpeggio” influisce sull’accettabilità del formaggio locale?” – che, per la precisione è stata condotta dal “Centro di Ricerca e Innovazione” del Dipartimento di Qualità Alimentare e Nutrizione della suddetta fondazione e dal “Centro Agricoltura Alimentazione Ambiente” del suddetto ateneo.

foto del Caseificio Sociale di Predazzo e Moena©

Il lavoro compiuto dagli studiosi aveva l’obiettivo di esplorare l’impatto delle informazioni sul “prodotto di alpeggio” sull’accettabilità di un formaggio Dop (il Puzzone di Moena) di produzione locale nelle due versioni esistenti:
– quello prodotto con latte crudo di bovine al pascolo in alpeggio (denominato brevemente “P”, come “pascolo”)
– quello prodotto dal latte di bovine allevate in stalle di fondovalle (denominato brevemente “S”, come “stalla”)

Il panel dei “degustatori” (se preferite “fruitori”, ndr) è stato composto da 156 consumatori – di eta media 41 anni, per il 45% femmine, per il 55% maschi – che sono stati chiamati a dichiarare il loro gradimento complessivo su una scala articolata su 9 punti e quattro campioni: i formaggi “P” ed “S” sono stati presentati due volte con informazioni diverse sull’origine del latte (vacche al pascolo in alpeggio o allevate in stalla di fondovalle).

Dati demografici, abitudini di consumo e opinioni sulla pratica dei pascoli di montagna (MPP), atteggiamenti verso la sostenibilità e comportamenti legati al cibo (ad esempio, dieta, produzione di rifiuti alimentari, cibo biologico e acquisto di prodotti a chilometro zero) sono stati registrati e utilizzati per segmentare i consumatori.

I formaggi sono stati tutti considerati più che accettabili, anche se sono risultati significativamente diversi per colore e consistenza dalle analisi strumentali. Nell’intero panel di consumatori è stato preferito il formaggio “P”, mentre nei segmenti di consumatori meno attenti alle caratteristiche del prodotto la differenza tra i campioni proposti non è stato percepita in maniera significativa.

In sintesi, c’è da sottolineare un aspetto che gli studiosi evidenziano nella loro presentazione, vale a dire “che l’informazione esterna ha avuto un forte effetto: il gradimento complessivo è stato significativamente più alto nei formaggi presentati come “prodotto di alpeggio”, sia nell’intero panel che nei segmenti di consumatori con atteggiamenti diversi, ad eccezione di quelli con una bassa opinione della pratica dei pascoli di montagna.

Chi è interessato ad approfondire può consultare l’intero studio, disponibile cliccando qui in lingua originale (inglese), e qui nella traduzione automatica di Google Translate. Buona lettura a tutti!

29 marzo 2021