Fa molto discutere – la comunità scientifica ma non solo – a livello mondiale, uno studio pubblicato dalla Cambridge University nel mese di aprile, che tendeva a verificare la fondatezza delle voci secondo cui la dieta vegana sarebbe ampiamente salutare per chi la rispetti.
Se da un canto le diete a base vegetale stanno riscuotendo consensi sempre più ampi – a causa delle preoccupazioni legate all’ambiente, al benessere degli animali ma anche o forse soprattutto ai benefici presunti per la propria salute – da un altro c’è quantomeno da adottare una certa prudenza, prima di aggiungere altre voci a quelle dei creduloni e dei faziosi che mai come di questi tempi vantano certezze che nessuno di certo può dir di avere.
Di sicuro c’è solo una cosa: che di sicurezze sulla presunta utilità di una dieta vegana non ne esistono né tantomeno se ne possono dare. Di certo c’è solo una cosa, peraltro non esaltante: se si consumano meno prodotti di origine animale, meno animali verranno allevati. Ma che le sofferenze delle specie considerate “da reddito” diminuiscano è tutto da dimostrare, visto che le alternative – ad esempio nei casi di animali “liberati” per essere adottati – non sono per nulla scevre da altri generi di sofferenze per gli animali stessi.
Dal punto di vista ambientale, invece, è stato dimostrato – ed è facilmente comprensibile – che un’aumento della richiesta di alimenti di origine vegetale diventa un incentivo in più verso un modello agricolo intensivo, vale a dire in direzione opposta a quella verso cui il Green New Deal ci chiede di impegnarci.
Meno che mai si può pensare (e c’è chi lo afferma, senza alcuna prova da mostrare) o dire che le diete vegane offrono benefici per la salute cardiaca e cardiovascolare. In questo senso il lavoro pubblicato dalla Cambridge University si distingue da molti altri che lo hanno preceduto per la vastità del campione preso in esame.
Lo studio, una meta-analisi intitolata “A Systematic Review of the Association Between Vegan Diets and Risk of Cardiovascular Disease” (trad.: “Una revisione sistematica dell’associazione tra diete vegane e rischio di malattie cardiovascolari”) ha esaminato sette precedenti ricerche, che avevano valutato complessivamente 73.800 persone, 7.661 delle quali vegane.
Il lavoro operato dagli studiosi dell’università britannica ha preso in esame il rischio di eventi cardiovascolari (malattia cardiovascolare totale, malattia coronarica, infarto miocardico acuto, accidente cerebrovascolare totale, ictus emorragico e ictus ischemico) nelle persone che seguivano una dieta vegana rispetto a persone che optavano per diete differenti.
Lo studio ha anche valutato se una dieta vegana possa garantire benefici a persone che hanno già malattie cardiache, dimostrando che il veganismo potrebbe essere utile in teoria per arrestare o invertire le malattie cardiache. In uno degli studi pregressi presi di nuovo in considerazione è stato evidenziato quanto le persone che hanno iniziato una dieta vegana proseguendola per almeno tre anni hanno fatto registrare un sesto delle probabilità di avere un altro grave problema cardiaco (o ictus) rispetto a quelle che hanno iniziato tale dieta senza continuare. Purtroppo però lo studio valutato si basava su un campione relativamente piccolo, per cui – per poterne trarre considerazioni attendibili – andrebbe rifatto ex-novo, partendo da una base analitica più ampia.
Altri due studi presi in esame non hanno mostrato alcun beneficio concreto, né alcuna regressione delle malattie cardiache, nelle persone che hanno iniziato una dieta vegana. Tuttavia, i partecipanti a questi studi hanno seguito una dieta vegana per periodi brevi, compresi tra i due e i sei mesi: una base di dati che non permette di prevedere alcun impatto a lungo termine.
Di certo, uno dei vantaggi nel seguire una dieta vegana per almeno sei mesi è quello di ridurre sia il colesterolo che il peso forma, rispetto a chi adotti una dieta onnivora.
“Nel complesso”, hanno dichiarato gli studiosi, “la nostra revisione ha rilevato che non ci sono prove a sostegno delle affermazioni secondo cui il veganismo fa bene al cuore”. Ma ciò è in parte dovuto al fatto che ci sono pochi studi in materia, e che “solo 361 persone nelle ricerche che abbiamo esaminato sono diventate vegane dopo aver sviluppato una malattia cardiaca”.
Inoltre, i partecipanti a due degli studi presi in esame hanno praticato la dieta vegana per un tempo troppo limitato, sempre inferiore ai sei mesi, il che non permette di riscontrare l’incidenza del rischio di malattie cardiache.
Infine, c’è da notare che nessuno degli studi presi in esame ha fatto rilevare che i vegani siano protetti contro malattie cardiache, attacchi di cuore o ictus, rispetto agli onnivori.
10 maggio 2021