Il letame? Una miniera d’informazioni per migliorare la vita degli animali e l’azienda*

*a partire da oggi gli articoli aventi titolo contrassegnato con asterisco contengono un approfondimento tecnico curato da uno dei nostri esperti consulenti e offrono una linea diretta per consigli e consulenze

foto di Texas A&M AgriLife©

Chi si avvicini ad una o più vacche al pascolo ha sempre – o meglio dovrebbe avere – qualche accortezza nel muoversi: un occhio alle bovine stesse (se sono con i vitelli possono essere pericolose) e ancor più al toro – se c’è – e massima attenzione ai cani da guardiania (ma quelli, se ci sono, non tarderanno a farsi sentire e vedere).

Le attenzioni necessarie però non finiscono qui, perché il terreno, inevitabilmente, sarà – per quanto in senso metaforico – una sorta di campo “minato”. Minato o meglio disseminato di un certo numero di “torte” – o “fatte” che dir si voglia – a volte chiaramente identificabili, altre meno (lo capirete quando una certa “morbidezza” si paleserà sotto la vostra povera scarpa, ndr).

Venendo al sodo – ed è proprio il caso di dirlo – a differenza di quanto accade negli allevamenti intensivi, in cui le deiezioni – solide o liquide che siano – rappresentano un onere aziendale, prendendo il nome di “reflui zootecnici”, responsabili di inquinamento ambientale diretto (in primo luogo delle falde acquifere) e indiretto (smaltimento, biogas, etc.), negli allevamenti estensivi esse conservano valore di buon concime, a patto che gli animali siano alimentati e gestiti in maniera la più naturale possibile (minime integrazioni vegetali locali, nessun medicinale, ivi inclusi gli antielmintici di sintesi, che sono delle vere bombe ecologiche).

C’è da augurarsi che, con il passare del tempo – attraverso una maggior diffusione dell’approccio agroecologico da parte di tecnici e allevatori – le buone pratiche agronomiche torneranno pian piano a ripristinare il loro corretto utilizzo, tramite l’essiccazione naturale, la riduzione meccanica e lo spargimento sui terreni (tecnica ormai abbandonata, purtroppo, anche dai caricatori d’alpe dello Storico Ribelle, che – si dice erroneamente – la manterrebbero ancora in vita, ndr).

La raccolta delle feci al pascolo – foto di Texas A&M AgriLife©

Una miniera di preziose informazioni
A pensarci bene però, le deiezioni degli animali allevati sono molto di più di quel che – nel bene e nel male – comunemente vengono considerate, avendo in sé tutte le informazioni sulla vita dei loro “produttori”: dal tipo alla qualità dell’alimentazione, dall’eventuale carenza di nutrienti allo stato di salute generale dell’animale, solo per dirne alcune.

Ebbene, se nel nostro Paese questa trattazione può apparire poco più che teorica, negli Stati Uniti da qualche anno a questa parte diverse aziende zootecniche hanno introdotto le analisi delle feci dei propri animali tra gli esami di routine, per acquisire informazioni utili, al fine di operare i necessari correttivi alimentari e farmacologici, per garantire alla mandria o al gregge la migliore condizione esistenziale possibile. E all’azienda la miglior economia, laddove – contrariamente a quanto molti credano – essa non si raggiunge tout court riducendo i costi dell’alimentazione degli animali bensì ottimizzando l’attività complessiva dell’azienda, e facendo quadrare i conti tra uscite ed entrate.

Il kit per il confezionamento delle feci –  foto di Texas A&M AgriLife©

Cosa accade negli Stati Uniti
Ciò che accade negli Usa è presto detto: da anni un’azienda specializzata in analisi di laboratorio, la Texas A&M AgriLife, che opera nel circuito della Texas A&M University, ha istituito un laboratorio dedicato esclusivamente alle analisi del letame – il Gan Lab (Grazingland Animal Nutrition Lab) – per aiutare gli allevatori a prendere decisioni relative all’alimentazione della loro mandria.

Questo laboratorio fornisce servizi di analisi del letame utilizzando la Nirs (Near Infrared Reflectance Spectroscopy, vale a dire la spettroscopia di riflettanza nel vicino infrarosso. Questa tecnologia, utilizzata anche nel controllo qualità degli alimenti, utilizza vibrazioni elettromagnetiche per sondare il materiale che è oggetto di analisi.

I campioni di feci da analizzare – foto di Texas A&M AgriLife©

I risultati Nirs sono integrati in un software denominato Nutbal Online, dedicato al calcolo dell’equilibrio nutrizionale e alla verifica della dieta dell’animale, includendo in essa anche le variazioni di peso giornaliere – previste ed effettive – dei capi allevati.

Per ottenere il servizio Nutbal gli allevatori ricevono innanzitutto un training online, poi un kit per la raccolta, il confezionamento e la spedizione delle feci: cucchiaio, sacchetto ed elemento refrigerante, oltre alla scatola coibentata per la spedizione.

Le analisi delle feci, effettuate con tecnica Nirs – foto di Texas A&M AgriLife©

Una volta ricevuto il campione, il laboratorio lo analizza ed entro una settimana circa invia i risultati. Il costo del servizio è di 45US$ per ciascuna analisi, che vengono recuperati agevolmente grazie all’ottimizzazione dei costi della dieta, calcolati attorno ai 20-30US$/anno per ogni vacca.

Per ogni maggiore informazione si può consultarel’area del sito web della Texas A&M AgriLife dedicata a Nutbal. Sul canale YouTube dell’azienda una serie di video dedicati che vi suggeriamo di visionare.

Buona lettura e buona visione!

24 maggio 2021


* La parola all’Agronomo Rosa Tiziana Procopio

Da oggi, di tanto in tanto, le specialiste e gli specialisti che collaborano con Qualeformaggio interverranno per fornire il loro punto di vista su storie che chiamano in causa le loro competenze.

Una buona opportunità per i nostri lettori più curiosi, che avranno modo di accrescere la loro consapevolezza.

Ma un’occasione utile soprattutto per i produttori che ci seguono che potranno approfondire tematiche tecniche utili per la loro attività. In via sperimentale, gli utenti professionali possono inviare domande all’autore del testo, utilizzando il pulsante più in basso.

Il letame, da scarto produttivo a nuova risorsa aziendale

di Rosa Tiziana Procopio
Dottore Agronomo

Quando si pensa al proprio allevamento, si considerano in genere le esigenze produttive dell’azienda – quantomeno le più evidenti – e si rischia di non curare abbastanza la natura stessa di ciò che si produce. La qualità del cibo che portiamo sulle nostre tavole è direttamente correlata alla qualità dell’alimentazione e della vita che l’allevatore assicura ai propri animali.

A dirlo è la comunità scientifica mondiale, attraverso una grande quantità di studi prodotti in questi ultimi trenta anni. A saperlo è anche un crescente numero di consumatori, finalmente determinati a migliorare la propria alimentazione e a sostenere sempre più le produzioni ecosostenibili.

Per andare incontro a un mercato in forte e veloce evoluzione sarà bene che l’allevatore consideri che la produzione di latti e carni di qualità diversa e superiore agli standard di mercato dipende dal giusto contenuto di elementi nutritivi nella dieta dei propri animali e dalla scelta di razze rustiche (razze locali o loro incroci), più adatte allo specifico ambiente locale e con un diverso metabolismo rispetto a quelle specializzate.

Banalmente, la scelta di un pascolo naturale per l’alimentazione – per esempio – di bovine, offre una componente aromatica – e una capacità di digestione e metabolismo dell’alimento – che si ripercuotono sulla fisiologia dell’animale e si ritrovano nel latte e nei derivati da esso prodotti.

Ancora più marcata sarà l’incidenza dell’alimentazione nelle produzioni da carne, specialmente se fresche: il cosiddetto grasso di marezzatura, la muscolatura accentuata, non sono caratteristiche raggiungibili solo con metodologie di stabulazione fissa, quanto invece si ripresentano in maniera anche più ecosostenibile (in tutti i sensi!) anche e soprattutto in un allevamento brado o semibrado.

Ecco perché, per allevatori e produttori, diviene essenziale armarsi di conoscenza, ovvero di essere guidati verso la scelta più saggia e compatibile con gli obiettivi di mercato da raggiungere. L’attenzione alla qualità reale del prodotto è ormai elemento essenziale per molti consumatori. Essa dipende da molteplici fattori: dalla qualità del terreno su cui si produce alle caratteristiche delle razze che si allevano, dagli alimenti che si somministrano loro al prodotto che si intende trasformare e commercializzare.

Troppo spesso però la reazione dell’allevatore (e dell’agricoltore) dinanzi ad un tecnico che suggerisca di effettuare delle analisi del prodotto o della materia prima – o un approfondimento scientifico della produzione aziendale – risulta spesso scettica e a volte indispettita. Una problematica questa non al passo con i nostri tempi.

Tuttavia, il supporto di tecnici di fiducia dell’azienda e di realtà come quella citata nell’articolo (la Texas A&M AgriLife, che sostiene l’azienda nella valutazione dell’impatto ambientale) può portare a valutare positivamente l’opportunità che tali consulenze possono offrire (esistono anche in Italia laboratori privati al servizio delle crescenti esigenze delle imprese agricole).

L’agricoltura di un tempo, l’allevamento “semplice” del crescere un animale e macellarlo, o il produrre una materia prima da un animale allevato, non sempre riescono a soddisfare le richieste del consumatore attuale. Per stare al passo coi tempi, quindi, il produttore (allevatore o agricoltore che sia) non può più permettersi di immettere del cibo sul mercato senza conoscerne le caratteristiche e la qualità reale.

Ma attenzione: non è solo questione di conoscere prerogative e necessità dei propri animali per nutrirli al meglio, ma anche di gestire con un’adeguata consapevolezza la conduzione sanitaria complessiva dell’azienda: degli esseri viventi che la popolano, quelli visibili e quelli invisibili (microrganismi), del suolo, delle acque, della biodiversità vegetale e – in poche parole – del proprio ecosistema.

Se solo si pensa ai trattamenti effettuati per i più disparati motivi – per disinfettare le attrezzature e i ricoveri degli animali, ma anche le bestie stesse, o per ridurre la carica batterica degli escrementi secreti – si ha una vaga idea di quanto la complessità microbica dell’azienda rischi di essere fortemente compromessa.

Grande criticità rivestono ad esempio i ripetuti trattamenti effettuati per la sverminazione degli animali: la forte diffusione di antielmintici di sintesi a largo spettro ha trasformato le loro feci in vere e proprie bombe ecologiche capaci di sterminare un’infinità di invertebrati molto importanti per la conservazione e l’equilibrio di ecosistemi terrestri e acquatici.

Agendo senza cura nell’ambiente, senza adottare le giuste pratiche agrozootecniche che consentono di produrre in maniera “rispettosa”, si va a compromettere la biodiversità e tutto l’agroecosistema naturale, quindi – oltre a danneggiare la propria azienda – si danneggia un bene di tutti. Perché un domani – se anche non vi sarà più l’azienda agricola – le specie botaniche, gli animali, gli  insetti, saranno andati perduti per una gestione agrozootecnica non corretta.

Per tutte queste azioni, frequenti e ripetute in ogni azienda agricola, s’impone e ora la necessità di passare a soluzioni meno impattanti e – quando disponibili – di natura ecocompatibile.

Non guasterà infine considerare la normativa inerente la qualità del prodotto e la sua sicurezza alimentare: un aspetto che ha portato ormai ogni azienda agricola a scegliere un laboratorio di fiducia e – di conseguenza – ad avere un tecnico di riferimento preparato, con cui creare un piano di gestione delle produzioni.

Le domande a cui risponde il tecnico tramite l’ausilio delle indagini di laboratorio sono tante: quanto e cosa ha effettivamente assimilato il mio animale dall’alimento? Quanto e cosa dell’alimento rimane all’interno delle feci? È davvero questo l’alimento migliore per il suo benessere, per la produzione che mi garantirà, per l’economia della mia azienda? Si tratta di rifiuto o ammendante/fertilizzante naturale? Cosa posso fare per migliorare ogni aspetto della mia attività?

Sono tutte domande – queste – a cui ogni allevatore dovrebbe ormai saper rispondere direttamente o sotto la guida del suo tecnico di riferimento. Ognuno di noi è parte di un ecosistema complesso e perfetto che va rispettato e tutelato; un ecosistema in cui ognuno è presente con un proprio “peso” e una propria impronta ecologica, ed è giusto e corretto che essa – finalmente – sia misurata. Come è anche giusto che ogni attività sia normata, regolamentata e controllata, e che ogni allevatore e agricoltore acquisiscano (giacché ormai tutti imprenditori agricoli) una sempre più compiuta consapevolezza sul proprio operato, e sull’intera filiera produttiva.


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