La Fao, perentoria: “Si garantisca alla pastorizia la mobilità necessaria”

Pecore al pascolo
Pecore al pascolo – foto Pixabay©

La forma più antica di allevamento, ancora ampiamente presente in larga parte del mondo, è di nuovo al centro delle attenzioni e degli studi della Fao. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura ha infatti pubblicato nei giorni scorsi “Making way: developing national legal and policy frameworks for pastoral mobility” (“Fare strada: sviluppare quadri giuridici e politici nazionali per la mobilità pastorale”), un documento ricco di argomenti, spunti e raccomandazioni sull’importanza delle comunità pastorali al giorno d’oggi, su come tutelarle garantendo ad esse tutta la mobilità necessaria per esercitare il loro operato.

Per capire quanto rilevante questo sia, basti pensare che più di cento milioni di persone (forse addirittura duecento) nel mondo praticano ancora questa forma di allevamento come principale o unica attività economica. E che un quarto della superficie terrestre del pianeta è tuttora destinato al sistema produttivo pastorale.

Inquadrare la pastorizia per capirne il ruolo
Agli albori della pastorizia il pianeta era sul punto di uscire dall’era glaciale attraverso una graduale mitigazione delle temperature. Nonostante ciò, i sistemi pastorali si sono sviluppati maggiormente nelle zone climatiche più rigide, che spesso sono le aree più povere di risorse. Questo sviluppo ha fortemente caratterizzato questa forma di allevamento come resiliente, fortemente adattiva ed altamente ecosostenibile.

I sistemi pastorali ruotano attorno all’accesso ai pascoli attraverso la mobilità dei pastori e dei loro animali, che è caratterizzato da una modalità ciclica, stagionale. Attraversando confini (nazionali, regionali, provinciali, comunali), i pastori operano sia su terreni privati ​​che pubblici, svolgendo un ruolo conservativo, manutentivo e di presidio. Ma non solo, perché la pastorizia ha stabilito un sistema di mutuo sostegno con l’agricoltura familiare, beneficiando dei residui colturali e assicurando il letame necessario per nutrire i terreni.

L’emarginazione delle attività pastorali
Purtroppo però, negli ultimi decenni, un sistema economico e politico fortemente legato all’industrializzazione agraria – agricola e zootecnica – ha operato in varie maniere per emarginare le attività pastorali, contrastando la movimentazione di animali, speculando su problematiche sanitarie a volte banali, a volte inesistenti, e introducendo una burocrazia selvaggia che, sommata a varie altre problematiche esistenti o indotte, potesse dissuadere le comunità pastorali dal persistere nel loro operato.

Le politiche agricole hanno così garantito la priorità all’agricoltura intensiva e all’allevamento stanziale come unica via per incrementare la produttività, senza preoccuparsi del fatto che – introducendo sistemi innaturali di produzione – la qualità del cibo sarebbe drammaticamente decaduta, come di fatto è avvenuto.

Oggi quindi la Fao ripropone la “questione pastorale” come centrale, ripartendo dalla condizione di marginalità in cui le comunità dei pastori sono state spinte, evidenziando l’elevata rilevanza globale che la pastorizia conserva in sé, attraverso la sua resilienza.

La pastorizia elemento cruciale di uno sviluppo sostenibile
Al mondo d’oggi la pastorizia è cruciale per vari e incontestabili motivi: non solo per la sussistenza che garantisce alle comunità che ancor oggi la praticano, e per la sostenibilità che le è propria, ma anche per i molti benefici apportati all’ambiente.

La pastorizia, sottolineano gli autori dello studio nella sua introduzione, è ”uno strumento importante per il raggiungimento degli obiettivi dello sviluppo sostenibile e per facilitare i processi ecosistemici evidenziati nell’appello sul “Decennio delle Nazioni Unite” (2021-2030) per il ripristino degli ecosistemi”.

“Dati i vantaggi della mobilità del bestiame in termini sia economici che ambientali”, prosegue il documento, “è chiaro il ruolo fondamentale della pastorizia mobile nel raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile relativi al bestiame”.

Il tema centrale: la mobilità pastorale
“Tuttavia”, insiste la Fao nel suo documento, “mancano politiche a sostegno della mobilità pastorale. Le politiche hanno storicamente teso a minare e limitare la mobilità vedendola come una pratica improduttiva, obsoleta, irrazionale ed ecologicamente dannosa. L’importanza della mobilità pastorale viene ora riconosciuta nel discorso sullo sviluppo”.

Molte “organizzazioni di sviluppo locali e internazionali”, spiegano gli esperti della Fao, “stanno iniziando a sostenere politiche che favoriscono la mobilità. Il rapporto di sintesi della valutazione congiunta sull’impegno dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) e del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad) nello sviluppo pastorale – pubblicato nel 2016 – riconosce questa “inversione di marcia” nella conoscenza fondamentale sullo sviluppo pastorale”. 

La Fao rivolge così un implicito invito a tutti amministratori pubblici competenti in materia di movimentazione animale, affinché si orientino verso un atteggiamento maggiormente collaborativo con chi svolge attività pastorali transumanti, riconoscendo variabilità, fragilità e rilevanza degli ambienti pascolivi e la necessità di una loro corretta gestione, indicando chiaramente un’infinità di implicazioni inerenti la mobilità dei pastori e dei loro animali.

Il rapporto di sintesi prodotto dalla Fao evidenzia la necessità di una maggiore conoscenza della materia e sottolinea la chiara direzione che il lavoro delle due organizzazioni ha preso, per il sostegno e lo sviluppo del pastoralismo.

Per chi volesse approfondire i contenuti del documento, esso è disponibile sul portale web della Fao, cliccando qui

21 febbraio 2022