La capacità dell’organismo umano di digerire i latti di altre specie animali, come anche i loro derivati – ovvero il lattosio in essi contenuto – non andrebbe ascritta alla consuetudine con cui quei prodotti si consumano storicamente in una data regione geografica ovvero da una certa popolazione, né alla frequenza con cui essi vengono assunti, bensì alla diffusione di malattie infettive e di carestie.
Quanti intolleranti e dove
Come sappiamo, gli esseri umani digeriscono il lattosio grazie all’enzima lattasi, che scinde in due questo zucchero nell’intestino tenue, rilasciando due zuccheri semplici: il glucosio e il galattosio. Quasi tutti i bambini, grazie alla lattasi, sono in grado di digerire sia il latte delle loro madri sia quello di altri mammiferi. Nella gran parte degli esseri umani “moderni”, però, la produzione di lattasi diminuisce rapidamente durante l’infanzia, raggiungendo un livello residuo molto basso nell’età adulta. Si dice che queste persone siano “intolleranti al lattosio”: qualora ne consumino potranno soffrire di crampi addominali, diarrea e flatulenza.
In questa condizione si troverebbero due terzi degli abitanti del nostro pianeta, con percentuali che variano di area in area: il 40% in Europa, tra il 50% e l’80% in Sud America, tra il 60% e l’80% nell’Africa subsahariana, e ben oltre il 95% in Asia.
La rimanente parte degli esseri umani – un terzo degli adulti – tollera bene il lattosio, riuscendo a digerire sia il latte che i suoi derivati. Questo perché nella loro progenie si è registrata una mutazione nel gene della lattasi. Grazie a questa variante genetica i loro organismi continuano a produrre lattasi, quindi a digerire il lattosio, anche in età adulta.
Uno studio che riscrive la storia
Le nuove conclusioni a cui i ricercatori sono giunti, sono raccolte in uno studio condotto dalla Bristol University e dalla Ucl (University College London), intitolato “Dairying, diseases and the evolution of lactase persistence in Europe” (trad.: “Prodotti caseari, malattie ed evoluzione della persistenza della lattasi in Europa”), recentemente pubblicato sulla rivista Nature.
Attraverso la mappatura di 9mila anni di consumi alimentari in Europa, i ricercatori hanno scoperto che le popolazioni preistoriche consumavano latte già migliaia di anni prima che gli esseri umani sviluppassero il gene che permette di digerirlo, diventato comune solo intorno al 1.000 a.C.
Guidati dal Prof. Richard Evershed dell’Università di Bristol, gli studiosi hanno costruito un database senza precedenti, attraverso la catalogazione di circa 7.000 residui di grasso animale reperiti in 13.181 frammenti di ceramica provenienti da 554 siti archeologici, per capire dove, quando e quanto latte le persone consumavano.
I dati raccolti hanno permesso di capire che esso era ampiamente utilizzato nella preistoria europea, e che il suo consumo risultava indipendente dalla presenza della tolleranza al lattosio.
I ricercatori hanno quindi assemblato un altro database utilizzando antiche sequenze di Dna provenienti da oltre 1.700 individui preistorici europei e asiatici, aggiungendo all’equazione la presenza di carestie e malattie: “Nella preistoria”, spiegano gli autori dello studio. “la salute umana è stata colpita sempre più da scarse condizioni igienico-sanitarie e crescenti malattie. In queste condizioni il consumo di latte avrebbe comportato un aumento dei tassi di mortalità, specialmente per gli individui privi del gene per la tolleranza al lattosio”.
“Una situazione che”, proseguono i ricercatori, “sarebbe stata ulteriormente esacerbata in condizioni di carestia”. Sarebbe stata quindi questa la causa della diffusione del tratto genetico che permette ad una parte degli esseri umani, ancor oggi, di consumare il latte e i suoi derivati anche in età adulta.
5 settembre 2022