
La cronaca di questi giorni torna a parlare di lisozima, o meglio di formaggi che per essere prodotti debbono includere tra i propri ingredienti il tristemente noto “antimicrobico naturale”. La notizia, ancora una volta trascurata dalla stampa del nostro Paese, assume carattere di assoluta rilevanza, riguardando il ritiro di prodotti italiani in un Paese come la Germania, che da sempre guarda al made in Italy con assoluto apprezzamento.
L’articolo che riferisce la vicenda, pubblicato mercoledì 12 ottobre sul sito web del giornale consumerista “Il Salvagente”, lascia intendere già dal titolo – “Lisozima, da dove nasce la polemica tedesca sul Grana Padano” – quanto la questione sia oltremodo scomoda, e questo perché, al di là della misura cautelativa (il ritiro, ndr), la vicenda è accompagnata da un “inganno” non da poco, perpetrato ai danni dei consumatori: l’omissione del suddetto conservante dalla lista degli ingredienti indicati in etichetta. Omissione ancor più grave se si considera che il lisozima, estratto dall’uovo, è di fatto un allergene, a tutti gli effetti.
La cronaca dei fatti
Riferisce così Il Salvagente che “le autorità tedesche sconsigliano nella maniera più assoluta alle “persone con intolleranza o allergia alle proteine al latte vaccino crudo e dell’albume d’uovo di astenersi dal mangiarlo. Così è stato ritirato il lotto L.20145 della confezione di “Riserva Grana Padano” a marchio Giovanni Ferrari con scadenza del 24.12.2022”.
Cos’è e perché si usa il lisozima
L’articolo prosegue dilungandosi sulla natura del lisozima, dando l’impressione a tratti di voler minimizzare sulla sua pericolosità, e ricordando che esso “si trova anche in alcuni integratori alimentari, sia nella preparazione di alimenti “fermentati” quali il vino, la birra, e alcuni formaggi stagionati come il Provolone, l’Asiago, il Montasio e soprattutto il Grana Padano”.
“Viene impiegato” quindi, prosegue Il Salvagente, “perché, in questi casi serve ad impedire lo sviluppo di alcuni microrganismi che possono danneggiare l’alimento e contemporaneamente favorire la crescita dei batteri saprofiti”.
Il lisozima quindi, prosegue Il giornale online, “è una sostanza naturale non pericolosa per il consumo di alimenti che lo contengono. È pericoloso invece” spiega meglio Il Salvagente, “per persone allergiche alle proteine dell’uovo” (cosa non da poco, ndr).
“Per questo”, prosegue il giornale consumerista, “è obbligatorio indicarne la presenza in modo esplicito nelle etichette degli alimenti” e proprio per questo, ovvero per essere stato utilizzato in quelle forme ma escluso nelle relative etichette, aggiungiamo noi, si è scatenato, in Germania un vero e proprio “caso Grana Padano con lisozima”, che di sicuro non farà bene né alla “Dop più venduta nel mondo” né a tutto il movimento del made in Italy, che tanta immagine di serietà ha costruito negli anni ben oltre i confini nazionali.
“Il caso segnalato in Germania”, insiste Il Salvagente, “ha riaperto il dibattito”, quindi, “su questo enzima e sulla pericolosità per i consumatori con allergie”.
Reazioni allergiche che variano (di molto) da soggetto a soggetto
Ebbene sì, avete letto bene, perché “le reazioni allergiche”, aggiunge Il Salvagente, “possono variare. I sintomi di una reazione allergica possono essere differenti: dal gonfiore delle mucose in tutta la bocca alla rinite allergica del naso, fino all’ingrossamento della faringe e della lingua”.
“Quando agisce nell’area gastrointestinale”, spiega ancora l’articolo, “gli allergici possono andare incontro a nausea, vomito, gonfiore e diarrea”. Ma non solo, perché “il lisozima nei soggetti allergici può procurare asma, eczema atopico, prurito e orticaria. Infine, può essere pericoloso perché nei casi più estremi si rischia uno shock anafilattico potenzialmente letale”.
Sin qui tutto chiaro e limpido: le preoccupazioni scatenate in Germania dal caso in oggetto appaiono – e sono! – più che legittime e fondate.
Le argomentazioni del consorzio
L’articolo dà ampio spazio poi alle argomentazioni che il consorzio di tutela del Grana Padano va ripetendo da anni ormai, senza sottolineare però – ed è questo l’aspetto da rimarcare maggiormente – che una soluzione ci sarebbe, per voltare pagina, ed è nelle scelte che proprio il consorzio può decidere di fare o non fare, vale a dire escludere dall’alimentazione delle bovine gli insilati che, se da un lato consentono al formaggio di essere economicamente competitivo rispetto al Parmigiano Reggiano, dall’altro costringono il prodotto a cimentarsi di tanto in tanto con situazioni “scomode” come questa.
Situazioni che, per fortuna degli interessati, vengono trascurate – ahinoi! – dalla stragrande maggioranza dei giornali, e dei consumatori, in Italia e all’estero.
17 ottobre 2022