CiWF: “La gente lo sa, per denaro l’allevamento intensivo sta uccidendo il pianeta”

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Prosegue la pressione di CiWF – Compassion in World Farming – sugli allevamenti intensivi: lunedì scorso, 14  novembre, l’associazione ha reso noti i risultati del sondaggio su clima e agricoltura, in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, Cop27.

Parlando delle prospettive dell’organizzazione, il responsabile dell’associazione nel Regno Unito, Nick Palmer, ha dichiarato che «oggi chiamiamo in causa l’agricoltura industriale: non solo essa è l’unica principale causa di crudeltà sugli animali e uno dei principali fattori di declino della fauna selvatica, ma se non poniamo fine a tutto ciò, non possiamo neanche affrontare la crescente emergenza climatica».

Così dicendo, CiWF attacca ancora una volta frontalmente gli allevamenti industriali, sostenendo che “il sistema intensivo” – dando priorità alla produzione su qualsiasi altro aspetto delle attività – “spinge irresponsabilmente per produrre grandi quantità di carne, latte e uova”, producendo danni enormi agli animali, all’ambiente e all’umanità.

Prodotti solo apparentemente economici

Ma non solo, perché i prodotti generati dai sistemi intensivi, solo apparentemente economici, hanno – dal punto di vista climatico, ambientale ed etico – un costo che non possiamo più permetterci di pagare. Oltre alla crudeltà espressa direttamente sugli animali, l’industria è responsabile di un conto assai salato, relativo al dispendio di risorse legati al consumo di mangimi a base di cereali, allo spreco di acqua ed energia, e all’abuso di farmaci.

Un sondaggio in tredici Paesi e cinque continenti

Il sondaggio di cui CiWF ha presentato i risultati è stato condotto nell’ottobre scorso da YouGov, società internazionale di ricerche di mercato, in tredici Paesi dei cinque continenti, vale a dire – in ordine alfabetico – in Brasile, Egitto, Francia, India, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Nuova Zelanda, Regno Unito, Repubblica Ceca, Spagna, Stati Uniti e Sud Africa.

La divulgazione dei risultati del sondaggio nel corso della Cop27, in Egitto, ha permesso all’associazione di invitare ufficialmente i principali leader mondiali a porre fine all’allevamento intensivo in quanto, sottolinea CiWF, “redditizio solo se non si considerassero gli impatti causati su clima, salute e benessere degli animali”.

Nel Regno Unito la gente non crede alla propaganda delle industrie

Il 62% degli intervistati nei suddetti tredici Paesi concorda sul fatto che l’allevamento intensivo antepone i profitti economici ad ogni altro aspetto del produrre: sia all’impatto ambientale che all’etica, o alla salute delle persone che di prodotti animali si nutrono. Un 62% – dato medio – della gente che in Paesi come la Francia ha toccato il 74% della popolazione intervistata.

Guardando più in dettaglio i risultati, l’81% dei britannici ritiene che l’allevamento intensivo anteponga i profitti al benessere degli animali, mentre il 66% delle persone nello stesso Paese ritiene che esso dia priorità ai profitti a dispetto della salute dei consumatori.

Inoltre, il sondaggio rivela che solo il 55% degli adulti britannici è consapevole del fatto che il settore del bestiame produce più emissioni di gas serra rispetto alle emissioni di tutti gli aerei, i treni e le automobili del mondo messi insieme.

«La nostra ricerca», incalza Palmer, «dimostra che il pubblico britannico non crede alla propaganda secondo cui gli allevamenti industriali sarebbero necessari per sfamare il pianeta».

I risultati del sondaggio in Italia e negli altri Paesi

Dal canto loro, gli italiani si sono dimostrati propensi a credere che l’allevamento intensivo ponga i profitti davanti al benessere degli animali (il 77% degli intervistati), al clima e all’ambiente (75%), ancor più di quanto questo sia ritenuto vero nel Regno Unito (clima e ambiente: 69%).

Sempre in Italia è stata registrata la più alta risposta relativa all’impatto ambientale di tali allevamenti. Rispetto al fatto che il settore zootecnico produca più gas serra di tutti gli aerei, treni e automobili del mondo messi insieme, il 63% del campione ha affermato di ritenere che le cose stiano così. Un concetto altamente sostenuto anche in India (60%), che perde consenso nei Paesi Bassi, dove a crederlo è il 42% della gente.

Scettici ancorché disinformati sono apparsi gli egiziani, che solo nel 48% dei casi ritengono che l’allevamento intensivo anteponga i profitti al benessere degli animali (50% quando sul piatto della bilancia vengono posti clima e ambiente).

Una petizione per far sì che i Governi si pronuncino

Per ottenere il massimo sostegno possibile, CiWF ha creato sul proprio sito web un’area dedicata ad una petizione LINK con cui i leader dei maggiori Paesi del mondo verranno invitati i a porre fine all’allevamento intensivo, attraverso un accordo globale.

La campagna per aderire a questa iniziativa è stata intitolata “End of the Line for Factory Farming” ed ha già ottenuto il supporto di diverse Ong, di cittadini e di personaggi in vista nel mondo anglosassone, come l’attore scozzese Brian Cox, protagonista del serial “Succession”, la star del film X-Men 2, Alan Cumming, e il fondatore del Jane Goodall Institute, Jane Goodall.

Dal suo canto, l’attore Brian Cox, dopo aver firmato la petizione, ha dichiarato che «la lotta al cambiamento climatico è una delle imprese più importanti del nostro tempo, ma per invertire la rotta su questa crisi, dobbiamo affrontarne le cause, e l’allevamento intensivo è una di esse. Ben oltre la sofferenza che infligge agli animali, la zootecnia intensiva sta minacciando il futuro stesso del nostro pianeta».

«La campagna “End of the Line”», si è detto fiducioso Palmer, «sfrutterà il sostegno mondiale per convincere i leader a porre fine alle pratiche di allevamento crudeli e distruttive, e a trasformare il nostro sistema alimentare, in modo che vada a beneficio degli animali, delle persone e del pianeta». «Ciò deve includere», ha concluso il leader di CiWF Uk, «la gestione del consumo insostenibile di carne bovina, di pollame, pesce e latticini, a partire dalle popolazioni che più consumano questi alimenti».

21 novembre 2022