
Diverse pratiche zootecniche introdotte con l’industrializzazione del settore, per quanto ormai routinarie e assurte al ruolo di “normalità” tra i più, rivelano – via via che il mondo scientifico si prende la briga di investigarle – una natura molto spesso in antitesi con il concetto di “benessere animale” utilizzato (a sproposito) da troppe industrie e troppi allevatori.
Ad esempio, la consuetudine diffusa – soprattutto tra chi alleva vacche da latte – di svezzare i vitelli con latte in polvere e di interrompere bruscamente e anticipatamente lo svezzamento, fa registrare effetti assai negativi a carico del fisico e della capacità cognitive dei giovani animali.
A studiare queste consuetudini dell’allevamento bovino, e a pronunciarsi su di esse, è stato di recente un gruppo di ricerca della Bristol Veterinary School (University of Bristol) che con la ricerca “Hunger affects cognitive performance of dairy calves” (trad.: “La fame influisce sulle prestazioni cognitive dei vitelli da latte”), pubblicata dal Journal Reference della The Royal Society, ha manifestato la speranza che “i risultati conseguiti possano motivare gli allevatori a offrire condizioni di vita migliori sia ai vitelli che alle loro madri”.
Un ciclo produttivo forzato sino all’eccesso
Come tutti i mammiferi, esseri umani inclusi, le vacche producono latte a seguito della gravidanza. Nella logica di chi le alleva, esse debbono partorire almeno un vitello all’anno, per continuare a produrre latte. Per questo vengono costantemente inseminate (artificialmente), spesso ad appena 2-3 mesi dal parto. L’obiettivo degli allevatori è quello di avere quanto più latte possibile per la vendita, o la trasformazione. Di conseguenza i giovani bovini ottengono molto meno latte rispetto al loro fabbisogno.
“In pratica”, spiegano i ricercatori, “i vitelli ricevono all’incirca la metà del latte a loro necessario e vengono troppo presto indotti a nutrirsi di mangimi solidi, o vengono troppo spesso venduti anzitempo per la macellazione”. Ricerche precedenti hanno già dimostrato che un allattamento insufficiente rallenta il loro sviluppo e influisce sulla loro salute.
Cosa provano i vitelli mal alimentati?
Le ricerche sin qui condotte non hanno mai indagato su ciò che provano i vitelli sottoposti a queste pratiche. Per studiarlo, i ricercatori inglesi hanno messo a punto un test in cui i giovani animali devono ricordare la posizione di quattro bottiglie piene di latte, in una scena in cui compaiono quindici bottiglie. L’obiettivo degli studiosi era quello di vedere se un’improvvisa riduzione di latte (passando da 12 a 6 litri al giorno) avrebbe influito sulla loro capacità di ricordare la posizione di quelle piene, e se avrebbe interrotto la capacità di apprendere i cambiamenti delle posizioni, quando operati.
In tutti i casi provati, la ridotta disponibilità di latte ha influito sulla capacità dei vitelli di apprendere e ricordare, e questo perché gli animali erano risultati “troppo affamati per concentrarsi”. Inoltre, è stato registrato anche un aumento delle vocalizzazioni da “fame angosciata”.
“Il lavoro”, hanno commentato gli studiosi, “ha dimostrato che nutrire i vitelli con quantità limitate di latte rallenta il loro sviluppo”, ma al di là di questo, lo studio – che mirava a capire cosa i vitelli provino quando sono soggetti a restrizioni alimentari – giunge a sostenere che “la restrizione alimentare influisce negativamente sulla funzione cognitiva, anche quando le posizioni delle bottiglie piene non sono cambiate, e che ciò è coerente con l’idea che i vitelli siano angosciati dall’improvvisa riduzione nella disponibilità del latte”.
I ricercatori hanno poi dichiarato che “sebbene i nostri risultati non forniscano prove dirette che il calo delle prestazioni cognitive sia dipeso da cause emotive (cioè che i vitelli si sentissero troppo affamati per concentrarsi, ndr), l’effetto sulla cognizione è coerente con l’esperienza di “fame dolorosa””.
“I nostri risultati”, hanno aggiunto poi gli studiosi, “rafforzano l’evidenza che in questi animali le limitazioni nella disponibilità di latte siano associate a esperienze affettive negative. Visto il legame tra cognizione ed emozioni, questo tipo di approccio cognitivo ci offre la possibilità di migliorare la nostra comprensione delle loro esperienze affettive”.
Infine, le conclusioni che il gruppo di ricerca della University of Bristol rivolgono a chi alleva: “Gli allevatori dovrebbero implementare delle modalità atte a mitigare le conseguenze negative associate ad un’interruzione brusca dello svezzamento con latte; bisognerebbe nutrire i vitelli con più latte in giovane età, riducendo gradualmente, e non bruscamente, la quantità di latte al termine dello svezzamento”.
30 gennaio 2023