Zootecnia intensiva e scarsa tutela dell’ambiente le cause principali di zoonosi

Bovine in stalla
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Aumentano le preoccupazioni della sanità pubblica europea per il crescente fenomeno delle zoonosi, malattie causate da agenti (batteri, virus, parassiti, ecc.) trasmessi per via diretta o indiretta, dagli animali all’uomo. I ricercatori che fanno capo all’Efsa si interrogano su quali siano i motivi della lenta ma costante diffusione delle malattie zoonotiche, contratte non solo da chi lavori negli allevamenti intensivi (dove si registra una percentuale di casi minima, e in qualche modo preventivata) quanto e piuttosto da chi consumi alimenti contaminati.

Già sette anni fa, un rapporto dell’Unep (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente) si interrogava sull’aumento delle zoonosi registrato negli ultimi anni. Un fenomeno che, a detta degli autori, andrebbe ricondotto alla scarsa cura che il genere umano ha per la tutela dell’ambiente.

La grande concentrazione di animali in sistemi di allevamento intensivo, la conseguente rapida distruzione degli ecosistemi, la deforestazione, ma anche la vendita illegale di specie selvatiche sono tra le principali cause dell’aumento dei casi di zoonosi e della loro diffusione in regioni che sino a pochi decenni fa era non erano coinvolte nel fenomeno.

Nel recente report dell’Efsa intitolato “Zoonoses, foodborne outbreaks and antimicrobial resistance guidance for reporting 2022 data” (trad.: “Zoonosi, focolai di origine alimentare e linee guida sulla resistenza antimicrobica per la comunicazione dei dati del 2022”) si legge che “conservare la natura e restaurare gli habitat danneggiati rappresenta uno strumento essenziale per preservare la nostra salute e il nostro benessere”.

Le raccomandazioni dell’ente ci esortano tutti a considerare sempre più decisivo in ogni tipo di attività un approccio “One Health”, essendo la salute degli esseri umani strettamente connessa tanto a quella degli animali quanto a quella dell’ambiente. Vale a dire che si rende indispensabile ora il pensare e l’agire con approcci multidisciplinari interconnessi, per affrontare i rischi insiti nell’interfaccia tra ambiente di vita e lavoro, popolazioni animali ed ecosistemi.

A tale proposito si è recentemente espressa anche la Isde (International Society of Doctors for Environment), associazione medici per l’ambiente, tornando a trattare dell’impatto dell’allevamento intensivo sulla salute umana. Isde ha analizzato i danni di questa pratica di allevamento, evidenziandone tre aspetti: quelli diretti sulla salute dell’uomo, quelli di tipo sociale e quelli ambientali.

Tra i primi, ecco riproporsi il rischio di zoonosi, legato all’alta concentrazione di animali in spazi chiusi, che favorisce lo sviluppo di malattie, alcune delle quali contagiose per gli esseri umani, come l’aviaria e la SarsCov1, solo per citare due esempi noti. Le condizioni  innaturali di allevamento (oltre all’alta presenza di individui in spazi limitati, la mancanza del necessario ricambio d’aria e l’assenza dei ritmi legati all’alternanza giorno-notte) richiedono, per mantenere in vita gli animali, un alto livello di somministrazioni farmacologiche – troppo spesso antimicrobici e antibiotici – in genere effettuate attraverso il cibo. Una pratica ancora troppo diffusa, nonostante sia stata da tempo collegata all’aggravamento del fenomeno dell’antibiotico-resistenza.

13 febbraio 2023