
L’Enea, ente nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente, ha annunciato giovedì scorso 23 marzo, di aver messo a punto – in collaborazione con l’Università di Torino – un kit diagnostico in grado di rilevare in modo rapido, efficace e a basso costo la presenza di aflatossina (aflatossina M1) nel latte crudo. Il dispositivo verrà prodotto per essere fornito alle aziende lattiero-casearie e ai laboratori di analisi.
L’aflatossina M1 è una micotossina – cancerogena per gli esseri umani – in grado di contaminare il latte prodotto da animali nutriti con mangimi in cui sia presente l’aflatossina B1. Quest’ultima a sua volta è una micotossina causata dai funghi Aspergillus flavus e Aspergillus parasiticus, che si sviluppano soprattutto in ambienti caratterizzati da clima caldo e umido (con temperature tra i 25 e i 32°C e umidità superiore a 80%), in particolar modo negli alimenti insilati per animali. La presenza di aflatossina negli alimenti non è percepibile né a occhio nudo né al gusto. Questa micotossina mostra inoltre un’elevata stabilità durante i trattamenti termici quali la pastorizzazione.
I limiti di aflatossine ammessi dall’Ue
A causa degli effetti dannosi sulla salute umana e animale, l’Unione Europea ha fissato una concentrazione massima ammessa di aflatossina M1 pari a 50 nanogrammi/litro nel latte crudo, nel latte trattato termicamente e in quello destinato alla produzione di formaggi. E ha ulteriormente abbassato questo valore-soglia negli alimenti destinati a neonati e a bambini (25 ng/l), che risultano tra i maggiori consumatori di questo alimento.

Tecnica di analisi e sperimentazioni
La tecnica di analisi messa a punto dai ricercatori dell’Enea prevede, per la prima volta, l’impiego di anticorpi monoclonali (proteine complesse generate dal sistema immunitario animale, isolate e riprodotte in laboratorio) ottenuti da una solanacea “parente stretta” del tabacco (Nicotiana benthamiana) al fine di “intercettare” le tossine presenti nel latte, anche a concentrazioni molto al di sotto dei limiti fissati dalla legge.
A dimostrarlo sono state le sperimentazioni condotte su campioni di latte crudo contenenti diverse concentrazioni di aflatossina M1 (25, 50 e 75 nanogrammi/L). In altre parole, spiega Marcello Catellani del Laboratorio Enea di Bioprodotti e bioprocessi, «si tratta della versione “green” di “Elisa” – uno dei migliori e più diffusi metodi di screening rapido per il rilevamento delle tossine negli alimenti e nei mangimi animali – che permette l’analisi accurata, rapida e a basso costo di un numero elevato di campioni».
“Il metodo Elisa (Enzyme-Linked Immunosorbent Assay)”, precisa l’Enea nel dare la notizia del nuovo kit, “ha come fine il rilevamento e l’identificazione (sia qualitativa che quantitativa) di una sostanza specifica all’interno di un campione. In questo tipo di saggi analitici, una sostanza da dosare (definita analita) viene riconosciuta e legata da un’altra (generalmente rappresentata da un anticorpo) che ne rileva la presenza”. Per la produzione degli anticorpi, i ricercatori dell’Enea si sono avvalsi di un sistema di produzione alternativo ed economico offerto dal Pmf (Plant Molecular Farming): un sistema che usa le piante per produrre molecole complesse come gli anticorpi. In questo caso il Pmf permette di operare in condizioni non sterili (serra, acqua, luce, suolo) con costi ridotti ai minimi termini.
In sostanza, aggiunge Catellani, «si tratta di un approccio biotecnologico che può “liberare” la produzione di anticorpi dai classici e più costosi sistemi basati su colture di cellule animali, che richiedono strutture e ambienti dedicati, reagenti e strumenti specifici per la loro crescita in condizioni di sterilità, come ad esempio bioreattori e incubatori».
“Per questo lavoro”, precisa l’Enea, “è stata utilizzata la tecnica dell’agroinfiltrazione che comporta l’utilizzo di un particolare batterio chiamato Agrobacterium tumefaciens, che veicola l’informazione genetica di interesse nei tessuti vegetali della pianta Nicotiana benthamiana”.
«Questo processo», aggiunge Cristina Capodicasa del Laboratorio Enea di Biotecnologie, «risulta vantaggioso per rapidità e resa: richiede solo 1-2 giorni per la crescita degli agrobatteri, che hanno il compito di veicolare l’informazione genetica nella pianta; dopo circa una settimana è possibile raccogliere le foglie da cui estrarre fino a 1,6 g/kg di anticorpi. Quindi, lo scale-up di questa produzione è immediato, facilmente modulabile e poco costoso, se confrontato con colture cellulari in vitro, perché richiede semplicemente un ampliamento dello spazio di coltivazione dedicato alle piante».
29 marzo 2023