Volge al termine (oggi e domani le due giornate conclusive) il living lab dedicato alla “Transizione ecologica degli allevamenti nella montagna abruzzese”, progettato dal Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa per ventiquattro studenti e studentesse del Corso di Scienze e Tecnologie delle Produzioni Animali, accompagnati da docenti e tutor e ospitato dalla Cooperativa Asca e dal Bioagriturismo La Porta dei Parchi di Anversa degli Abruzzi (4-8 giugno 2023).
“L’attività, organizzata nell’ambito dei progetti speciali per la didattica”, spiegano i responsabili dell’iniziativa, “si svolge in zone pregiate dal punto di vista naturalistico e produttivo, come il Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, il Parco Regionale Velino-Sirente e il Parco Nazionale della Maiella”. In questi territori il programma ha previsto incontri e discussioni con allevatori, tecnici e istituzioni locali, per consentire ai partecipanti il confronto sulle tematiche della transizione ecologica, per individuare problematiche e possibili soluzioni.
«Il tema della transizione ecologica degli allevamenti», ha sottolineato il direttore del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa, Prof. Francesco Di Iacovo, «sta diventando centrale per il futuro delle produzioni animali. Da questo punto di vista, la montagna abruzzese, con il suo passato silente ma orgoglioso, può rappresentare un’esperienza pilota nazionale per la risposta alle crisi in atto, mediante il disegno di un solido processo di transizione ecologica degli allevamenti e delle comunità locali, specie all’interno delle aree dei parchi».
La transizione ecologica emersa dal confronto del living lab
La transizione ecologica degli allevamenti sta diventando sempre più centrale per il futuro delle produzioni animali e implica la conoscenza e la necessità di gestire aspetti tecnici, sociali ed economici legati ai processi di trasformazione delle strutture produttive e delle filiere nei sistemi locali.
Un aspetto emerso fortemente dal confronto è stato quello relativo ai processi di trasformazione che la zootecnia si troverà ad affrontare nei prossimi anni, per rispondere sia alle sfide del “New Green Deal” voluto dall’Ue, sia alla crisi ambientale e climatica. Ma non solo.
Nel nostro Paese, ad esempio, la corsa alla modernizzazione della zootecnica e una problematica gestione delle quote latte, hanno portato in poche decine di anni alla concentrazione – in alcuni territori, per lo più di pianura – di sistemi produttivi fondati sulle rilevanti dimensioni aziendali, sulla grande concentrazione di capitali e sulla forte intensità produttiva. Oltre che su un’inevitabile impatto ambientale.
Il diffondersi di questo modello, e una cattiva distribuzione del valore lungo le filiere dei prodotti di origine animale, hanno messo in difficoltà sin qui i sistemi di allevamento che operano a quote più elevate, per loro natura non competitivi sul piano produttivo.
Nei territori di alta collina e di montagna gli allevamenti hanno via via perso consistenza numerica nel tempo, sia in termini di strutture che di capi allevati, mentre anche la carente disponibilità di ricambio generazionale si manifestava in tutta la sua gravità attraverso crescenti battute di arresto. La difficoltà di vivere nelle aree interne ha inoltre contribuito a rendere più incerti tanto il futuro delle attività produttive quanto quello dei territori.
Al contrario, oggi si palesano i presupposti per una inversione di tendenza che non porterà un sostanziale cambiamento se non sarà accompagnata dai necessari sostegni e dalle più opportune scelte: la crescente attenzione di strati sempre più ampi della società verso i temi del benessere animale, dell’allevamento etico, di un uso accorto della terra per produrre cibo per gli animali, induce a riflettere, tanto sulla continuità dei sistemi di produzione esistenti in pianura, quanto sull’opportunità di rilocalizzare e rigenerare determinati modelli di attività zootecniche etiche e agroecologiche nelle zone pascolive montane e pedemontane.
In questi territori, però, la rarefazione produttiva e la difficoltà nella costruzione di reti, limita la possibilità di generare un disegno convergente di cambiamento e rischia al tempo stesso di far perdere opportunità alle comunità locali e di favorire l’ingresso di processi distorsivi nell’accesso alle risorse, a partire dalla gestione dei suoli e delle acque.
Di contro, un modello di allevamento basato sul benessere animale, un’attenta etica produttiva, il controllo e il rispetto delle risorse ambientali, il rafforzamento delle comunità locali e della loro identità culturale, possono rendere interessante, sostenibile e stimolante la valorizzazione delle aree interne, in una logica aperta al dialogo nella società.
I processi di transizione, da parte loro, necessitano di nuovi modelli di condivisione, co-progettazione e co-gestione dei percorsi di cambiamento, e il coinvolgimento di una pluralità di attori. Da questo punto di vista, il living lab dell’Università di Pisa rappresenta una metodologia didattica propizia a facilitare la formazione di una conoscenza collettiva dei problemi e delle possibili soluzioni, per creare visioni convergenti e velocizzare i processi di trasformazione, mediando tra i bisogni delle imprese e delle comunità e le soluzioni che la ricerca può mettere a disposizione.
7 giugno 2023