Una delle problematiche più serie che attanagliano le bovine da latte negli allevamenti intensivi – assieme a mastiti, ridotta fertilità, zoppie, acidosi ruminale, solo per citarne alcune – è la chetosi, patologia altamente impattante sull’economia aziendale sia nel breve che nel medio termine.
Altrimenti detta iperchetonemia, la chetosi è una delle disfunzioni metaboliche strettamente legate alla tipologia di allevamento industriale e alla fase iniziale della lattazione, allorché il fabbisogno energetico dell’animale non può essere soddisfatto con la sola assunzione di foraggio.
In questa fase produttiva l’organismo della vacca utilizza una parte delle riserve lipidiche che il fegato trasforma in zucchero, per la produzione di latte. Se questa trasformazione avviene in modo troppo repentino e rilevante, tale processo metabolico porta l’organismo dell’animale a bruciare parte del grasso per produrre energia, allorché l’animale non abbia mangiato a sufficienza per far fronte alle proprie esigenze nutrizionali.
La chetosi può quindi sfociare in un calo della produttività lattifera e incidere negativamente nel tempo sulla fertilità della vacca: due ripercussioni che nell’immediato e nel medio periodo gravano seriamente sul bilancio aziendale, oltre che sul benessere degli animali stessi.
Su questo fronte, così impegnativo per un’infinità di allevatori nel mondo – purtroppo – una recente ricerca scientifica del College of Veterinary Medicine della University of Minnesota e della Michigan State University ha approfondito il ruolo che i biomarcatori possono avere nel palesare quali vacche di una mandria rischiano l’insorgenza di chetosi post-parto.
Studi scientifici svolti in passato da altri gruppi di ricerca hanno dimostrato che nelle vacche che abbiano avuto una chetosi durante la prima settimana di lattazione la ridotta secrezione si protrae ben oltre il periodo iniziale della fase produttiva, perdurando anche lungamente. Al contempo, quando la disfunzione metabolica si manifesta successivamente alla prima settimana, l’entità della stessa è in genere più lieve.
L’ambito in cui gli studiosi statunitensi hanno operato le loro recenti ricerche è quello della fase di asciutta che prelude al parto delle vacche.
I ricercatori delle due università statunitensi hanno così misurato trentasei diversi metaboliti, rilevando squilibri metabolici durante le ultime fasi della gravidanza. Hanno così appurato che le vacche che sviluppano chetosi durante la prima settimana di lattazione possiedono marcatori associati a danno epatico nonché fegato grasso già tre settimane prima del parto.
I risultati raccolti hanno suggerito ai ricercatori che la comprensione di questi aspetti potrebbe aiutare gli allevatori a prevedere quali vacche potrebbero aver bisogno di cure aggiuntive nel periodo post-parto e preluderebbe alla definizione di un test che permetta finalmente di prevedere la chetosi ben prima della sua insorgenza.
Per maggiori informazioni, lo studio può essere consultato cliccando il titolo in lingua inglese – “Evaluating variations in metabolic profiles during the dry period related to the time of hyperketonemia onset in dairy cows” – o la sua traduzione automatica con Google Translate (“Valutazione delle variazioni dei profili metabolici durante il periodo di asciutta in relazione al momento dell’insorgenza dell’iperchetonemia nelle vacche da latte“).
Buona lettura!
20 settembre 2023