Dal secondo dopoguerra in poi la zootecnia intensiva ha selezionato vacche con una genetica sempre più specializzata, con l’obiettivo di incrementare la produzione e la “qualità” commerciale del latte. Produrre più latte significa – o meglio avrebbe dovuto significare – maggiori volumi e guadagni più elevati per gli allevatori, ma – come sappiamo – non è andata così.
Una delle problematiche che hanno interferito con quella prospettiva è legata alle alte temperature ambientali estive, soprattutto se legate ad elevati livelli di umidità. Il fattore climatico è strettamente connesso al calo delle rese produttive, che comportano ingenti perdite per gli allevatori. Per far fronte ad esse il mondo scientifico è da sempre alla ricerca di rimedi da introdurre in stalla (sistemi di ricambio dell’aria, ecc.) per limitare il problema è contenere i danni.
Ad ogni modo, e tornando al punto di partenza, sembrerebbe proprio che a patire maggiormente lo stress termico siano – guarda caso – le vacche selezionate per produrre di più. Un bello smacco, a pensarci bene, sia per la zootecnia industriale che per il mondo della ricerca che lo sostiene.
«Gli animali con un’elevata produzione di latte», spiega Bruno Fragomeni, assistente professore di Scienze Animali presso la Facoltà di Agricoltura, Salute e Risorse Naturali della University of Connecticut, «tendono ad affrontare peggio degli altri lo stress da caldo. Dobbiamo quindi iniziare a selezionare gli animali anche per la tolleranza al calore, altrimenti la selezione per l’alta produzione non funzionerà».
Fragomeni racconta l’esperienza di chi opera nel campo della genomica d’avanguardia, nel tentativo di rendere le bovine da latte maggiormente produttive più resistenti agli stress da calore.
La mancata selezione della tolleranza al calore comporta una riduzione del livello produttivo dell’animale, che incide negativamente sul prezzo del latte. Le vacche che sopportano meglio il caldo non soffrono come quelle selezionate per produrre di più e godono rispetto ad esse di un miglior benessere animale.
Nel condurre la loro ricerca, il gruppo di lavoro di Fragomeni raccoglie più di venti dati per ogni singolo capo: dalla quantità di latte prodotta alla resa di proteine e grassi, dal conteggio delle cellule somatiche alla fertilità, registrando sempre la temperatura ambientale e l’umidità relativa.
Quando i bovini sono stressati dalle condizioni ambientali, uno tra i primi impatti osservabili è la minore produzione di latte. Un fenomeno che probabilmente è legato al calore che la digestione genera nell’organismo dell’animale. Pertanto, in condizioni di stress da caldo le vacche mangiano di meno e di conseguenza producono di meno.
Allo studio che il team di Fragomeni sta conducendo su questa problematica il sito web della University of Connecticut ha dedicato un interessante articolo, intitolato “Climate Change and Cattle: Genetics May Hold Answer to Heat Stress Tolerance” (trad.: “Cambiamenti climatici nelle bovine: la genetica può fornire una risposta alla tolleranza allo stress da caldo“).
Buona lettura a chi vorrà approfondire l’argomento!
11 ottobre 2023