Quanta vita nei suoli: scienziati nell’Appennino Emiliano studiano i benefici dell’agricoltura conservativa

Artropodi al microscopio
Artropodi al microscopio – foto Life agriCOlture©

“Dall’equilibrio dei miliardi di organismi che popolano i suoli dipendono i cicli biogeochimici dei suoli, la fertilità dei suoli stessi e quindi la buona riuscita dei prodotti agricoli: in Appennino si ipotizza di stabilizzare il rapporto tra carbonio e azoto, atomi della vita, a loro beneficio”. A sostenerlo sono i ricercatori del progetto Life agriCOlture, finanziato dall’Unione Europea, e avviato nel 2018

In più di cinque anni di sperimentazione, i ricercatori si sono prefissati di studiare una modalità innovativa di fare agricoltura, coinvolgendo quindici aziende agricole dell’Appennino reggiano, parmense e modenese. La domanda che sottende lo studio riguarda la vita nel suolo e più in particolare come essa cambi se si utilizzano tecniche di agricoltura conservativa.

La ricerca – promossa da Consorzi di Bonifica dell’Emilia Centrale e Burana, Parco Nazionale dell’Appennino e Crpa (Centro Ricerche Produzioni Animali), emanazione dell’Istituto Zootecnico Consorziale di Reggio Emilia – ha visto all’opera un nutrito team multidisciplinare di esperti, che hanno svolto due “fotografie” di ogni terreno oggetto dello studio, prima e dopo la sperimentazione nelle aziende. Referenti per l’attività sono stati un ecologo, Daniele Galli, e un pedologo, Stefano Raimondi.

«In tutte le quindici aziende, con la stessa metodologia», spiega Daniele Galli, «si sono effettuate analisi, sia prima (ex-ante) sia dopo (ex-post) l’applicazione delle buone pratiche, utilizzano una metodica di campionamento mutuata da quella applicata dalla Regione Emilia Romagna nel monitoraggio dei suoli agricoli (AFRSS, Area Frame Randomised Soil Sampling, ndr)».

Innanzitutto, ognuno dei quindici appezzamenti di terreno (uno per azienda) è stato sottoposto a caratterizzazione pedologica, mediante trivellazione, mentre il Crpa di Reggio Emilia ha determinato gli aspetti produttivi e floristici, ovvero quali specie erbacee costituivano i prati presenti. In seguito, sono stati prelevati campioni di suolo da sottoporre ad analisi fisica, chimica e biologica, per un totale di più di venti determinazioni analitiche, prima e dopo le buone pratiche.

«Nell’attesa dei risultati definitivi che saranno pronti entro l’autunno», prosegue Galli, «abbiamo osservato in Appennino ambienti in prevalenza marginali, soggetti a un’agricoltura estensiva, dove grazie agli interventi dei Consorzi di Bonifica sono state realizzate sistemazioni idrauliche. Prima di adottare tecniche di agricoltura conservativa, abbiamo rilevato contenuti di fosforo organico non particolarmente elevati (media nei quindici appezzamenti pari a 28 mg/kg) e una quantità di sostanza organica medio-alta nello strato superficiale (da 0 a -15cm), con una media del 3,7%”.

«Il rapporto carbonio/azoto (C/N) dello strato superficiale», aggiunge l’ecologo, «è risultato mediamente basso in tutti gli appezzamenti, con valore medio di 8,6; un indice di una sostanza organica non molto stabile che, quindi, si mineralizza più rapidamente, riducendo la durata dello stock di carbonio nei terreni. L’idea innovativa del progetto Life agriCOlture è quella di stabilizzare il rapporto C/N con le tecniche di agricoltura conservativa, a beneficio dell’ambiente». «In questi mesi stiamo cercando di capire», prosegue l’ecologo, «se le diversità osservate nei terreni delle aziende, oltre che alle coltivazioni, sono significativamente correlati alle buone pratiche adottate. Se così fosse sarà un risultato molto importante».

La vita nei terreni

Ma in sostanza, chi vive nei terreni? «Dal punto di vista ecologico», aggiunge Galli, «abbiamo studiato la mesofauna terricola che, prima del progetto Life agriCOlture, era già ben rappresentata nei terreni studiati, pur con una grande variabilità. Abbiamo prelevato diversi cubetti da 1 decimetro cubo in ogni appezzamento, ponendoli poi negli estrattori Berlese-Tullgren, apparecchi costituiti da un setaccio, una lampada e un bicchiere di recupero, per estrarre la mesofauna artropodica; i macroartropodi estratti sono stati identificati per unità tassonomiche e contati allo stereoscopio per determinare l’Indice di Qualità Biologica artropodica dei suoli.

Il ruolo dei microartopodi? Chi sono, e quanto sono importanti? «I microartropodi sono dei biosensori», continua lo scienziato, «che indicano se un suolo è più o meno abitabile: maggiore è il grado di adattamento dei microartropodi al suolo, maggiori sono le loro esigenze e minore è la loro capacità di abbandonare il suolo in condizioni sfavorevoli. Se ci sono organismi fortemente adattati all’ambiente edafico e sono particolarmente esigenti, vuol dire che il suolo è molto abitabile ed è un buon ambiente di vita. È un vero proprio mondo: acari, collemboli, dipluri, proturi, pauropodi, sinfili, diplopodi, chilopodi, imenettori, coleotteri, ditteri, ecc.»

«Da ricordare», conclude Galli, «che essi, oltre ad essere degli indicatori – o biomonitori – hanno una funzione legata al ciclo del carbonio e degli elementi ad esso associati. Questo perché la sostanza organica grossolana che arriva al suolo viene prima sminuzzata dai microartropodi e, solo in seguito, mineralizzata dai decompositori; sono quindi i primi attori della decomposizione del carbonio che potrà essere utilizzato dalle piante dopo l’azione di batteri, attinomiceti e funghi».

25 ottobre 2023