Fao: “Il 12% dei gas serra causati dagli allevamenti intensivi: urgono soluzioni”

Vacche da latte in stalla
foto World Animal Foundation©

Venerdì scorso 8 dicembre, in concomitanza con il vertice mondiale sul clima COP28 indetto dalla Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, la Fao (Food and Agriculture Organization) ha pubblicato il rapporto “Pathways towards lower emissions” (“Percorsi verso minori emissioni”), dedicato allo stato attuale delle emissioni prodotte dal genere umano, sottolineando che la produzione animale industriale rappresenta la causa del 12% delle emissioni di gas serra.

Evidenziato ciò, l’ente, che è emanazione dell’Onu, ha sollecitato l’introduzione urgente di misure in grado di ridurre queste emissioni, in ragione del fatto che nel prossimo futuro la domanda globale di carne continuerà ad aumentare.

Il rapporto della Fao presenta una valutazione globale completa delle emissioni di gas serra derivanti dai sistemi di allevamento, utilizzando un proprio modello, denominato Gleam (“Global Livestock Environmental Assessment Model”, in italiano: “Modello di valutazione ambientale globale del bestiame”), che si basa sui dati disponibili più recenti e considera tanto le emissioni dirette che quelle indirette, derivanti da attività a monte – come la produzione di mangimi e altri input – e una parte dei processi a valle: dal trasporto in uscita dall’azienda alla lavorazione e all’imballaggio dei prodotti grezzi.

Basandosi su un’ampia revisione della letteratura sinora prodotta, la pubblicazione illustra i percorsi verso la riduzione delle emissioni attraverso una serie di interventi sia sul lato dell’offerta che su quello della domanda della produzione animale.

«Oltre a valutare le emissioni di base», ha esordito il direttore generale aggiunto della Fao Maria Helena Semedo, «questo rapporto offre stime delle emissioni future in scenari di aumento della produzione e delinea i percorsi per ridurre le emissioni attraverso l’applicazione di buone pratiche consolidate nella gestione degli animali». Il documento, ha proseguito Semedo, «dimostra chiaramente che programmi ambiziosi e innovativi e interventi di ampio respiro hanno il potenziale per piegare la curva delle emissioni mentre la produzione cresce».

«Soluzioni come il miglioramento della salute degli animali, le pratiche di allevamento, la riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari», ha aggiunto il direttore, «e l’intervento diretto sulle emissioni di gas serra sono potenzialmente in grado di fornire molteplici benefici per le persone e per il pianeta, ma richiedono investimenti per ridurre i divari di efficienza, soddisfacendo al tempo stesso la crescente domanda mondiale di proteine animali», con interventi specifici sito per sito, agevolando l’accesso degli allevatori a nuove modalità  di produzione e di trasformazione.

Il rapporto, frutto dell’opera di esperti mondiali di tutti i settori coinvolti, delinea diversi percorsi che hanno un impatto sia sul lato dell’offerta che su quello della domanda per i settori zootecnici e che – se adottati collettivamente – possono permettere di affrontare gli impatti ambientali e di promuovere la sostenibilità.

“Sebbene non esista una soluzione universale”, hanno spiegato i responsabili del rapporto, “e sia necessario un ulteriore lavoro per comprendere le barriere che ostacolano l’attuazione e la diffusione di questi interventi, il miglioramento della produttività e dell’efficienza produttiva lungo l’intera catena del valore è il modo più promettente per mitigare e ridurre le emissioni del bestiame”.

Un po’ di cifre

Tra i dati più significativi prodotti, il rapporto evidenzia che i bovini – sia da carne che da latte – contribuiscono a circa 3,8 GtCO2 equivalenti all’anno, pari al 62% del totale del bestiame, mentre il 14% è attribuito ai suini, il 9% ai polli, l’8% ai bufali e il 7% ai piccoli ruminanti. Per quanto riguarda gli alimenti che ne derivano, la produzione di carne rappresenta i due terzi delle emissioni e quella del latte il 30%. Imputabili alle uova il residuo 4%.

Le emissioni dirette, tra cui il metano derivante dalla fermentazione enterica dei ruminanti e il protossido di azoto derivante dai sistemi di gestione del letame, rappresentano il 60% delle emissioni totali del settore, mentre il resto deriva dalla produzione di fertilizzanti e pesticidi per la produzione di mangimi, dalla produzione stessa di mangimi, nonché dalla lavorazione e dal trasporto di mangimi, animali vivi e prodotti zootecnici e dalle modifiche dell’uso del suolo associate alla produzione di mangimi.

Complessivamente, il metano rappresenta poco più della metà del totale e la sua distribuzione spaziale segue da vicino l’ubicazione degli allevamenti di ruminanti, il cui apparato digerente produce metano derivante da una dieta composta per lo più da erbe che l’uomo non può digerire. Per le specie monogastriche come suini e polli, invece, le emissioni derivano principalmente dalla produzione di mangimi e dalla gestione del letame.

Conclusioni

L’adozione delle migliori pratiche – tra cui l’agroforestazione e il pascolo turnato – applicate a tutti i pascoli a livello globale potrebbe sfruttare la capacità di sequestro in misura sufficiente a eliminare quasi un terzo delle attuali emissioni annuali del bestiame, ma l’economia di un tale cambiamento potrebbe non essere sostenibile nel breve e medio termine.

Nell’ambito dell’iniziativa per la trasformazione sostenibile del bestiame, la Fao appoggia i Paesi nella transizione verso un settore zootecnico sostenibile, tenendo conto della diversità dei sistemi di produzione zootecnica, sviluppando e implementando soluzioni altrettanto sostenibili e accessibili per la produzione e la salute degli animali, al fine di aumentare la loro produttività, mitigare le emissioni di gas serra, adattarsi al cambiamento climatico e migliorare la salute complessiva, nell’ottica di una visione “one-health”.

13 dicembre 2023

Clicca qui per saperne di più sul Gleam (“Global Livestock Environmental Assessment Model”, in italiano: “Modello di valutazione ambientale globale del bestiame”) della Fao