
Saper leggere lo stato emotivo di un’altra specie animale non è una prerogativa tanto comune tra gli esseri viventi, ed è una delle facoltà che rende speciali le capre nell’interagire con noi umani. “Ognuno di questi animali è in grado di discriminare le diverse valenze emotive nel singolo richiamo di ogni proprio simile”: da questo presupposto gli scienziati della University of Roehampton, Londra – in collaborazione con i colleghi del Ccs (Centre for Conservation Science) di Cambridge e della City University di Hong Kong – hanno deciso di studiare se questa capacità della specie caprina si estenda o meno al linguaggio umano.
“Abbiamo presentato alle capre”, spiegano i ricercatori nell’introdurre la ricerca, “un paradigma di assuefazione-disabituazione-riabituazione, in cui si sperimentavano riproduzioni multiple di una voce umana familiare o non familiare che trasmetteva un’unica valenza emotiva (ad es. una voce arrabbiata; fase di assuefazione), prima che la valenza della voce cambiasse (ad es. voce felice; fase di disabituazione ) e poi nuovamente invertendo in linea con la fase di assuefazione (di nuovo voce arrabbiata; fase di riadattamento). Durante la fase di assuefazione, le risposte comportamentali delle capre sono diminuite, mostrando evidenza di essersi abituate agli stimoli di riproduzione presentati. A seguito di un cambiamento nella valenza emotiva (fase di disabitazione), sebbene le capre fossero nel complesso meno propense a rispondere, quelle che lo facevano cercavano di farlo più a lungo, lasciando intendere di aver percepito il cambiamento nel contenuto emotivo trasmesso nelle riproduzioni della voce umana”.
In sostanza, per comprendere quanto le capre possano distinguere le diverse emozioni umane modulate attraverso la voce, i ricercatori hanno fatto ascoltare alle stesse delle registrazioni audio in cui venivano espressi stati emotivi dapprima gioiosi e poi rabbiosi. Gli studiosi immaginavano che gli animali si sarebbero abituati ad una determinata esternazione, se ripetuta più e più volte nel tempo e che non avrebbero modificato la loro reazione al modificarsi della sollecitazione emotiva.
La sorpresa è sopraggiunta in loro quando le registrazioni sono state invertite, in quanto riconoscendo le capre un diverso messaggio, si attendevano che le stesse sarebbero tornate a prestare attenzione alla sorgente sonora, cosa che è accaduta con tre capre su quattro.
“Non abbiamo riscontrato cambiamenti”, precisano i ricercatori, “nell’eccitazione fisiologica (variabilità della frequenza cardiaca) con cambiamenti nella valenza di riproduzione. Le capre domestiche potrebbero aver sviluppato una sensibilità ai nostri segnali nel corso della loro lunga associazione con noi, ma le differenze nel comportamento individuale nei confronti del paradigma della riproduzione potrebbero evidenziare un ruolo per l’apprendimento e l’esperienza individuale, in particolare nella comunicazione emotiva interspecifica”.
I processi emotivi degli animali aiutano a conformare il loro comportamento in modo adattivo all’ambiente, ad esempio motivando il movimento verso stimoli che migliorano la forma fisica, come la presenza di simili conosciuti e/o risorse di foraggiamento, e lontano da quelli che minacciano la forma fisica e mentale, come la presenza di predatori.
“Tali risposte”, spiegano i ricercatori, “incorporano componenti neurali, fisiologiche, comportamentali e a volte soggettive, supponendo una sensazione cosciente delle emozioni vissute. La componente comportamentale è spesso esagerata e in qualche modo distinta, portando molti ricercatori a concludere che mentre le manifestazioni emotive generalmente svolgono una funzione diretta (ad esempio allontanarsi dal pericolo), in una specie sociale possono svolgere ruoli aggiuntivi nella comunicazione”.
In effetti, i riceventi possono trarre vantaggio dalla lettura dello stato emotivo di un altro individuo poiché ciò consente loro di prevedere il comportamento futuro di un individuo, importante nel guidare le interazioni con esso.
Un modo comune di comprendere le loro emozioni è quello di dividere queste risposte in due o più dimensioni (note come approcci dimensionali), solitamente valenza (positiva o negativa, ad esempio dalla felicità alla tristezza) ed eccitazione (intensità dell’emozione vissuta, ad esempio dalla calma all’eccitazione).
“Sebbene le vocalizzazioni siano generalmente di natura intrinsecamente comunicativa”, precisano gli scienziati, “le esperienze emotive che differiscono in entrambe queste dimensioni creano diversità misurabili nelle vocalizzazioni degli animali, con i richiami in situazioni più eccitanti che tendono ad essere più forti, di frequenza più elevata e prodotti a una velocità maggiore. Al contrario, i cambiamenti nelle caratteristiche vocali relative alla valenza appaiono più specie-specifici, con diversi tipi di richiamo favoriti in diversi contesti sociali ed emotivi”.
Ad esempio, la risata e il pianto negli esseri umani tendono ad essere collegati rispettivamente a emozioni positive e negative. Tuttavia, è stato suggerito che le vocalizzazioni positive tendono ad essere più brevi di quelle negative, con una frequenza fondamentale più bassa e meno variabile.
Si ritiene che le vocalizzazioni corrispondano allo stato emotivo più negli animali che negli esseri umani, con questa relazione che diventa più complessa nella nostra stessa specie a causa del maggiore controllo cosciente che abbiamo sul nostro apparato vocale. Tuttavia, il legame tra lo stato emotivo e la comunicazione vocale non è stato del tutto perso, con segnali che rimangono chiaramente evidenti nelle nostre espressioni non verbali, come nel pianto e nelle risate, e nel linguaggio.
Per le specie che vivono a fianco degli esseri umani, i segnali che esprimiamo non solo evidenziano il livello di minaccia che possiamo rappresentare, ma – in alcuni casi – i potenziali benefici che la nostra presenza e/o le nostre azioni possono offrire loro (ad esempio nell’approssimarci ad alimentare quegli animali).
“La risposta più appropriata che un animale può dare nei confronti di una determinata persona”, proseguono i ricercatori, come “ad esempio ignorarla, avvicinarla o evitarla, varierà da persona a persona e nel tempo, in base alle motivazioni instaurantesi con una particolare persona. Di conseguenza, un certo numero di specie sembra aver sviluppato una sensibilità a requisiti demografici come l’etnia, il sesso e la fascia d’età di una persona così come verso segnali particolari, segnali vocali (ad esempio fischi), direzione dello sguardo ed espressioni emotive”.
“I nostri segnali emotivi”, aggiungono gli studiosi, “offrono indizi su come potremmo comportarci nell’immediato futuro, che, se percepiti, possono essere utilizzati per anticipare eventi positivi o negativi che risultano dall’interazione con determinate persone. Se sensibili a questi segnali e in particolare per le specie domestiche, che hanno fatto affidamento su di noi per le loro cure per migliaia di anni, le nostre espressioni emotive possono a loro volta influenzare le esperienze emotive e il benessere degli animali.
Queste ed altre interessanti considerazioni e approfondimenti, che spaziano e discriminano tra specie addomesticate per compagnia e per lavoro o reddito, sono contenute nello studio “Goats discriminate emotional valence in the human voice” (trad Google: “Le capre discriminano la valenza emotiva nella voce umana” pubblicato la settimana scorsa dalla rivista online “ScienceDirect”.
7 febbraio 2024