
Ancora una volta il siero di latte è al centro di una ricerca scientifica che ha l’obiettivo di offrire soluzioni al mondo dei consumi alimentari, nella fattispecie per migliorare la conservabilità dei formaggi freschi.
Gli studiosi, appartenenti a tre facoltà della UdeA – la Universidad de Antioquia di Medellín, in Colombia – stanno ultimando gli ultimi test, e nel giro di pochi mesi dovrebbero giungere alle conclusioni finali, oltre le quali, se tutto andrà bene, verrà avviata la procedura per la concessione industriale del prodotto.
I ricercatori coinvolti, appartenenti alle facoltà di Biotecnologia Alimentare, Chimica e Ingegneria dei Materiali, hanno già prodotto vassoi e altri contenitori partendo da siero, cagliate, altri derivati del latte e non solo.
La sostenibilità al centro della ricerca
Il secondo ma non marginale scopo dello studio è quello di incidere positivamente sui volumi degli scarti delle lavorazioni casearie: se l’operazione andrà in porto e verrà adottata a livello industriale, gli operatori del settore si limiteranno a ridurre il siero in polvere, previa evaporazione dell’acqua, e a commercializzare il prodotto secco residuo.
Al centro del progetto Diana Granda, docente alla Facoltà di Scienze Farmaceutiche e Alimentari (Cifal) dell’UdeA, che ha lavorato per diversi anni con materiali che possono essere utilizzati come imballaggi biodegradabili per alimenti. In questo contesto, anni fa inizio a lavorare ad un progetto per formulare un composto dal siero di latte, che ben si sposasse con le necessità delle proprie ricerche.
«In questo studio abbiamo unito la linea di ricerca sui rifiuti agroindustriali», esordisce la professoressa, «utilizzando diversi composti in grado di migliorare la conservazione naturale degli alimenti. Per fare questo già da tempo avevamo avviato un confronto con alcuni colleghi di altre facoltà».
«Tutto iniziò», continua Granda, «quando io e il Prof. Felipe Otálvaro dell’Istituto di Chimica iniziammo a confrontarci su un prodotto con alta capacità antiossidante, che il mio collega stava sviluppando con il gruppo di ricerca “Sin-Bio-Me-Na” (Sintesi e Biosintesi dei Metaboliti Naturali)».
Al progetto si unì poi Ricardo Mesías, allora dottorando in Ingegneria dei Materiali, che dal canto suo spiega: “la mia linea di ricerca nel Gruppo di Materiali Polimerici, dal master e ora nel dottorato, è quella di lavorare con i residui post-raccolta di cacao, caffè, ananas, banana, e altro. Semplicemente avevo già una buona esperienza in questo campo e disponevo di tutti gli strumenti di laboratorio necessari».
Da subito fu evidente uno degli interessi che accomunavano i tre: quello di mettere a punto nuovi prodotti rispettosi dell’ambiente. I tempi erano maturi per questo loro fine: la legge nazionale sulla plastica monouso era stata promulgata non da molto, e la richiesta che l’università presentò per sviluppare le loro ricerche venne accolta.

L’avvio delle ricerche
Sin da subito fu coinvolta anche la studentessa Milanyela Ramírez del master in Scienze Farmaceutiche e Alimentari, e il gruppo iniziò a studiare e testare la sicurezza delle confezioni e dei vassoi, ma anche a cercare un prodotto che aiutasse nella conservazione dei formaggi senza alterarne né composizione né gusto. Individuato il siero come prodotto idoneo a tali scopi, il team prese a studiare le norme di legge relative a questo “rifiuto speciale”, per far sì che i risultati finali dello studio potessero essere messi in pratica dalle industrie di settore.
Le diverse esperienze dei tre, combinate all’applicazione della studentessa, hanno portato ad un composto di siero e amidi di manioca, da cui sono derivati due materiali: una lamina – simile alla carta forno – e un vassoio, a cui nei laboratori del Sin-Bio-Me-Na, è stato aggiunto l’antiossidante sviluppato da Felipe Otálvaro.
Una volta messa a punto la fase organizzativa, con fornitori idonei e quantitativi adeguati alle necessità, i ricercatori hanno preso a studiare la combinazione tra i diversi materiali e i formaggi freschi, prendendo a conservare questi ultimi in tre distinte modalità: nelle confezioni normalmente in commercio, nella lamina e nei vassoi.
“Il test”, spiega un articolo sul sito web dell’UdeA, “è stato eseguito per un mese, in cui tre blocchi di uno stesso formaggio sono stati esposti alla luce diretta di una lampadina, sulla stessa griglia di un frigorifero, nel laboratorio di Biotecnologia Alimentare. Quando sono stati valutati, quello della confezione commerciale aveva un odore molto forte, e gli altri – quello nella lamina e quello nel vassoio – conservavano quasi lo stesso aroma del giorno in cui è iniziata la prova”.
+60% di conservabilità nei nuovi materiali
«Siamo rimasti molto sorpresi», ha commentato Mesías, «quando abbiamo visto che le prestazioni dell’antiossidante erano molto buone. Confrontando il formaggio della confezione originale con quelli conservati nel nuovo materiale, abbiamo riscontrato un incremento della conservabilità pari al 60% in più per questi ultimi».
Infine, per misurare i risultati, spiega Granda, «abbiamo effettuato una misurazione dei composti volatili – i gas – al cromatografo, che permette di identificare con precisione le loro caratteristiche. Abbiamo poi organizzato un panel sensoriale composto da esperti degustatori del Laboratorio di Analisi Sensoriale del Cifal (Centro Integrado de Formación Académica y Laboral) di Bogotà, che ha confermato l’efficacia della formulazione con l’antiossidante».
Completata la fase di studio, la ricerca avvierà nei prossimi mesi il suo atto conclusivo, quando verranno realizzati fogli e vassoi di dimensioni maggiori rispetto a quelli sin qui testati. Si tratterà della conclusione delle attività di ricerca, ovvero della pre-produzione industriale, che porterà un nuovo prodotto nell’economia del Paese e contribuirà alla diminuzione dell’inquinamento globale.
28 febbraio 2024