Dopo una settimana di interrogativi senza uno straccio di risposta, gli allevatori del Texas e del New Mexico sanno cosa ha fatto ammalare le loro vacche da latte. Gli animali, colpiti a partire dalla metà di questo mese da sintomi insoliti, non riconducibili a quadri clinici conosciuti, risultano inappetenti (i consumi di mangimi nei capi colpiti sono ridotti del 10-20%) e con un calo della produzione di latte che oscilla tra il 20% e il 40%. Un latte che nelle vacche colpite risulta più denso del normale, ma che – una volta sottoposto ad analisi – non avrebbe rivelato significative alterazioni dei suoi componenti.
Ad essere colpite, negli allevamenti interessati dal problema, risultano il 10% circa delle vacche allevate, prevalentemente le più anziane. Il decorso della sindrome fa registrare il picco della sintomatologia attorno al terzo o quarto giorno e una scomparsa dei sintomi entro il tredicesimo o quattordicesimo giorno. Alla malattia sconosciuta segue talvolta, a distanza di giorni, l’insorgenza di polmonite o mastite, probabilmente non ricollegabili ai sintomi principali ma che verosimilmente insorgono a causa dell’inappetenza, ovvero nei soggetti nutriti in maniera insufficiente .
Le analisi di laboratorio, effettuate incessantemente sino a domenica scorsa, 24 marzo, per individuare la causa scatenante il problema, avevano escluso contaminazioni da agenti patogeni, batteri o virus. Un buon primo risultato, pur rimanendo ogni dubbio irrisolto. Cosa ha fatto ammalare le vacche? La malattia è contagiosa per gli animali? E per gli esseri umani?
Messaggi rassicuranti per allevatori e consumatori
Lunedì scorso, 25 marzo, è giunta così, finalmente, la soluzione dell’arcano: le vacche sono state colpite da influenza aviaria. A renderlo noto alla cittadinanza è stato il Commissario per l’Agricoltura del Texas, Sid Miller, che ha comunicato ai media locali che la misteriosa malattia delle vacche da latte è stata identificata, che i capi ammalati hanno contratto l’influenza aviaria, e che consumatori e allevatori non devono preoccuparsi.
La notizia di per sé non risulta essere né buona né eccessivamente cattiva: di certo il danno per gli allevatori sarà rilevante, per la flessione produttiva, per i mille impegni quotidiani necessari per monitorare e isolare gli animali malati, per scartare il loro latte, ecc. Ma quantomeno alcuni nodi vengono sciolti con questo risultato: i soggetti colpiti non verranno abbattuti, la malattia dovrà fare il suo decorso, e nell’arco di 10-14 giorni ogni vacca tornerà regolarmente in produzione.
I più pessimisti tra gli analisti non escludono che il fenomeno potrà indurre aumenti del prezzo del latte e dei suoi derivati, come accadde nel 2022 con le uova a seguito dell’epidemia di influenza aviaria, ma vale la pena di sottolineare che in quel caso vennero abbattute 40 milioni circa di galline ovaiole.
A spingere al rafforzamento dei livello di guardia per questo salto di specie dell’influenza aviaria giunge notizia, sempre in questi giorni, di alcuni contagi di capre nel Minnesota. In alcuni di questi ultimi casi, purtroppo, una parte degli animali colpiti è deceduta.
28 marzo 2024