A seguito dell’annuncio dello stato di allerta diramato la settimana scorsa a livello globale dalla Woah (World Organization for Animal Health, già Oie – Office international des Épizooties) e inerente la diffusione dell’influenza aviaria nel mondo, i presidi sanitari locali si sono attivati, in primo luogo negli Stati Uniti d’America, per divulgare con la necessaria rilevanza agli operatori del settore veterinario tutte le raccomandazioni del caso.
Al centro del monitoraggio, c’è il clamoroso salto di specie registrato proprio negli Usa alla fine del mese scorso, di cui la nostra Redazione ha già dato conto lo scorso 28 marzo. Da allora, il contagio di capi bovini e caprini inizialmente avvenuto in Texas e New Mexico, sine diffuso in stalle dell’Idaho, del Kansas e del Michigan, inducendo i centri di ricerca e le autorità sanitarie locali a rilanciare gli appelli per la biosicurezza veterinaria.
“Le pratiche preventive e l’identificazione precoce dei bovini malati”, spiega un annuncio rilasciato venerdì scorso dalla Michigan State University, “sono essenziali per ridurre al minimo la diffusione della malattia tra i singoli animali e nelle mandrie. Se si osservano segni di malattia nei bovini, i produttori devono isolare l’animale o gli animali e comunicare immediatamente con il veterinario della loro allevamento”.
Gli avvisi invitano titolari e gestori di aziende agricole ad attuare un piano attività completando una revisione regolare delle pratiche aziendali di biosicurezza che si concentrano sul bestiame già presente in stalla e su quello eventualmente acquistato (che andrà tenuto in isolamento e monitorato per due settimane) e sulla salute e sicurezza umana, tanto del personale aziendale quanto dei visitatori, i cui movimenti all’interno El l’azienda andranno limitati all’indispensabile e registrati attraverso l’adozione di un apposito registro. “L’attuazione proattiva di misure di biosicurezza”, raccomandano gli annunci, “potrebbe ridurre il rischio di un focolaio di malattia nella vostra mandria che – insieme ad un impatto economico negativo – ha lo scopo di proteggere la zootecnia dello Stato”.
Dopo i contagi registrati tra i bovini da latte negli Stati Uniti, l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha espresso “preoccupazione”, perché le infezioni dei bovini “potrebbero indicare un aumento del rischio che il virus si adatti ai mammiferi; un rischio potenzialmente esteso agli esseri umani e ad altri animali”. Anche se le indagini finora condotte dalle autorità sanitarie statunitensi non hanno dato evidenze di mutazione del virus e di adattamento specifico ai mammiferi animali e agli esseri umani, sono in corso diversi studi per approfondire la virulenza e la trasmissibilità dei virus aviari, anche tra i bovini, e per valutare il rischio di trasmissione agli animali e all’uomo, che attualmente è considerato “molto basso”.
A tale proposito la situazione in Italia risulta attualmente sotto controllo, anche se gli esperti rammentano che la stagione delle prossime migrazioni aviarie potrebbe esporci a qualche rischio, già monitorato in passato, che non mancherà di vedere aumentare i controlli a partire dal prossimo autunno. Chi fosse interessato a saperne di più potrà consultare l’intervista rilasciata il 9 aprile scorso al Quotidiano Nazionale dal Dr. Calogero Terregino, direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche comparate dell’IZSVe (Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie).
17 aprile 2024