
Ci avete fatto caso? Non si è mai scritto e letto tanto di formaggi a latte crudo quanto in questo periodo. Se da un canto a essere nell’occhio del ciclone è il “sistema latte” trentino (per i recenti casi di Seu, sindrome emolitico-uremica, verificatisi in Italia), da un’altro sono un po’ tutti i produttori, gli stagionatori, gli esperti e i rivenditori – quelli che producono o trattano quel genere di formaggi – a preoccuparsi per i possibili nuovi obblighi e vincoli che il Governo potrebbe introdurre in materia (“chissà come”, “chissà quando”, ndr), attraverso il varo del tavolo tecnico annunciato poco più di una settimana fa.
In un clima sì fatto, con apocalittici scenari creduti possibili da alcuni (“di questo passo vieteranno tutti i formaggi a latte crudo!”: lo abbiamo sentito dire da più d’una persona, ndr), via via si palesano i difensori di parte, che puntualmente riversano su web e social media le loro arringhe, spesso mal ponderate e fallaci. Purtroppo, stando a quanto si legge, nessuno di tali “improvvis-avvocati” ha ritenuto necessario documentarsi sui fatti accaduti (neanche i più strenui difensori dei formaggi a latte crudo), prima di articolare le proprie difese universali.
Certo, può andar bene anche così, almeno per l’italiano medio, che spesso parla “tanto per parlare” e ancor più parla senza sapere (delle responsabilità accertate nel caso Maestri, o dei due presidenti indagati per i formaggi non sufficientemente stagionati immessi sul mercato), e allora cerchiamo di capire cosa non va nella difesa a spada tratta di Cia (Confederazione Italiana Agricoltori) Cuneo, che due giorni fa è intervenuta – di punto in bianco – sulla questione da una prospettiva assai parziale e incline a generalizzare.
Detto ciò, e precisato quanto anche a noi stiano a cuore i valori culturali, tradizionali e sociali – oltre che nutrizionali – dei formaggi a latte crudo nonché le sorti di un mondo contadino e artigiano in grave sofferenza, non possiamo esimerci dal rammentare a chi ci legge – e ancor più a chi propone difese di quel genere – i motivi e i contorni di situazioni che hanno portato diversi bambini a soffrire, a morire e a vivere una vita non vissuta per aver mangiato formaggi contaminati da Escherichia coli Stec.

Come si può affermare – Cia Cuneo lo ha fatto – che si sta “demonizzando un’intera categoria di produttori, che non ha nulla da nascondere e che lavora con il massimo rispetto delle garanzie di sicurezza alimentare” se almeno quattro caseifici italiani negli ultimi anni han compiuto irregolarità gravissime, come quella del tubo di carico del latte che cade a terra, per di più fuori da una stalla, nel letame (latte poi usato per produrre formaggi freschi a latte crudo, come nel caso di Mattia Maestri)? Come si fa a pontificare oggi se non si è detto né fatto nulla a suo tempo per impedire che tali efferati errori si verificassero?
Come si può accettare che un tale intervento giunga a scagionare chiunque produca a latte crudo, anche chi colpevolmente e gravemente sbaglia (“Oggi non esiste più un caseificio che lavori male, sono tutti super controllati e ancora di più lo sono proprio quelli che lavorano il latte crudo”), quando i fatti di cronaca dimostrano che gli errori compiuti anni fa si sono ripetuti nel tempo negli stessi caseifici e in altri non coinvolti in passato?
E poi, come si può affermare che “in Francia, il bollino di “prodotto a latte crudo” è considerato un vanto, un plus, perché riconosce il valore specifico di una produzione unica e altamente qualificata” e a recriminare oggi un’etichettatura in chiave positiva per quei formaggi (etichettatura per cui avremmo dovuto batterci decenni or sono, sino a ottenerla, come i francesi, ndr), se noi italiani non abbiamo fatto nulla per averla, come sarebbe stato giusto e doveroso fare?
I problemi sanitari emersi purtroppo sono gravi, diffusi e si ripetono da tempo. E di mezzo ci sono andati bambini che sono morti o hanno subito gravi menomazioni, e famiglie che hanno sofferto, soffrono e soffriranno per questo (i genitori di Mattia Maestri, in stato vegetativo irreversibile, somministrano 47 farmaci al giorno a loro figlio, che quotidianamente ha circa 30 crisi epilettiche, ndr).
Sensato sarebbe che certi personaggi ed enti, ancor prima di parlare, decidessero di offrire le proprie competenze per correggere gli errori, migliorare le procedure e risolvere i problemi. E che muovessero le giuste critiche a chi ha sbagliato, portando certi casi (definiamoli pure sporadici, ma di certo esistenti, ndr) come esempi da non seguire ad un’intero settore, per ricordare che taluni comportamenti e determinate negligenze non debbono essere compiute mai e poi mai. Quantomeno in un Paese che vorrebbe ritenersi civile, nel rispetto primario che ciascuno è chiamato a portare per la vita altrui.
14 febbraio 2025