
Checché ne dicano i diretti interessati – siano essi produttori, rivenditori o semplici consumatori – uno dei più clamorosi fallimenti dell’industria alimentare moderna si incarna nei cosiddetti prodotti alternativi ai derivati del latte. A guardar bene e senza tema di smentita, i cosiddetti “formaggi vegani”, in particolare, non sono che la brutta copia degli originali.
Se dal punto di vista estetico, volendo essere di manica larga, alcuni di essi potrebbero forse ingannare persone distratte e poco inclini al consumo caseario, su aspetti più concreti – quali la consistenza, l’olfatto, il gusto e la nutrizione – stiamo davvero parlando di clamorose brutte copie, di grottesche imitazioni, di bluff conclamati.

A dirlo non siamo certo noi, che potremmo essere tacciati di partigianeria, ma i molti casi emersi nel tempo in cui aspetti relativi alla salubrità e ai valori nutrizionali dei cosiddetti “formaggi” vegetali hanno certificato l’abissale differenza – oltre che la pericolosità – di questi prodotti rispetto ai veri formaggi. Se da un canto le tendenze di mercato ci fanno presagire che il fenomeno sarebbe già sulla via del declino, da un altro è dal mondo scientifico che giunge – ancora una volta – qualche nuovo elemento per prendere le misure con quel fenomeno, per considerarlo né più né meno per quel che è.
Dall’Università di Copenhagen il formaggio con il 25% di proteine vegetali
A investigare su questa materia da una prospettiva nuova e originale è giunta la University of Copenaghen, che martedì scorso, 18 marzo, ha rilanciato un proprio studio, pubblicato il giorno stesso su Science Daily e intitolato – udite udite – “Popular cooking cheese made with peas yields same taste and texture“ (trad.: “Il formaggio da cucina popolare fatto con i piselli produce lo stesso sapore e la stessa consistenza“). Con esso i ricercatori dimostrano che nella realizzazione di un formaggio – se si vogliono mantenere inalterati gusto e struttura – non ci si può spingere a sostituire le proteine del latte con quelle vegetali oltre un quarto delle proteine totali utilizzate.
I ricercatori dell’Università di Copenaghen lo hanno dimostrato creando una versione ibrida del paneer, un formaggio prodotto in Asia meridionale, utilizzando – per l’appunto – il 25% di proteine dei piselli. “Il risultato”, affermano in una nota stampa gli studiosi, “è un solido passo verso prodotti lattiero-caseari più sostenibili con benefici nutrizionali”.
Un formaggio ecosostenibile, “buono come il vero formaggio”
L’obiettivo dichiarato della ricerca è stato quello di ridurre il peso ambientale del prodotto senza incidere sulla sua sostanza, realizzando un formaggio che gli stessi studiosi hanno definito “ibrido”. Un formaggio che potesse soddisfare chi è avvezzo a consumare il vero formaggio, con un occhio di riguardo per l’ambiente, avendo quindi un argomento da spendere con chi abbia a cuore la questione ambientale.
«È davvero difficile“, ha sottolineato la Prof. Lilia Ahrné del Dipartimento di Scienze Alimentari dell’ateneo danese, responsabile della ricerca, «creare una consistenza che corrisponda al formaggio normale se si usano solo proteine vegetali. Pertanto, la nostra strategia è stata quella di ottenere il meglio di entrambi i mondi, sostituendo quante più proteine del latte possibile con proteine vegetali, senza compromettere il gusto e la consistenza».
«E questo perché», ha aggiunto Ahrné, «i consumatori a cui non piace un’esperienza gustativa non compreranno un prodotto solo per il solo fatto che esso sia sostenibile».
La Prof. Ahrné e il suo team hanno così sviluppato con successo una ricetta per realizzare un formaggio ibrido simile al paneer, costituito in larga parte da caseina, la proteina del latte, e in parte minore dalle proteine dei piselli. Una scelta ulteriormente ecologica, quella di utilizzare i piselli, in quanto, a differenza della soia, questi legumi sono ampiamente coltivati in Europa.
Una lavorazione casearia leggermente diversa
«Abbiamo studiato», ha aggiunto Wenjie Xia, primo autore dello studio, «cosa succede alla consistenza di un formaggio se aggiungiamo più proteine dei piselli, e i nostri esperimenti dimostrano che almeno il 25% delle proteine del latte può essere sostituito con proteine di quei legumi producendo un formaggio con una consistenza, forma e sapore simili al prodotto originale».
Una delle modifiche introdotte nella lavorazione del formaggio ibrido ha riguardato la pressatura, un poco più “spinta” di quanto si sarebbe fatto utilizzando il solo latte animale, e questo perché perché le proteine del pisello trattengono più acqua rispetto alle proteine del latte. “In questo modo”, spiegano i ricercatori, “il formaggio ibrido riesce a mantenere una forma solida nonostante il suo contenuto relativamente alto a base vegetale”.
«I formaggi ibridi come questo», ha sottolineato Xia, «rappresentano un passo concreto verso prodotti lattiero-caseari più sostenibili. Con questo studio dimostriamo che è possibile sostituire una porzione significativa del latte nel formaggio utilizzando proteine vegetali. Proseguendo nella nostra ricerca, crediamo di poter ridurre ulteriormente la percentuale di latte animale, realizzando un formaggio ben accetto da chi consuma formaggio. In questo modo, abbiamo un grande potenziale per ridurre l’impronta climatica che pesa su una categoria alimentare tra le più popolari».
I vantaggi nutrizionali del formaggio “ibrido”
A vedere anche delle utilità nutrizionali nel formaggio ibrido è la Prof. Ahrné, secondo cui «mentre gli ingredienti lattiero-caseari contribuiscono con una migliore qualità delle proteine – amminoacidi essenziali – e con il calcio, gli ingredienti vegetali possono aggiungere delle fibre alimentari al prodotto. In questo senso il formaggio ibrido ha il potenziale per riunire qualità nutrizionali di entrambi i mondi».
A spiegare infine perché la scelta sia caduta proprio sul paneer è ancora la Prof. Ahrné, secondo cui «le proprietà di questo formaggio – che gli permettono di essere sia grigliato che cotto senza sciogliersi – rappresenta un’alternativa popolare alla carne in Paesi come l’India, dove sono presenti molti vegani e vegetariani. Ecco perché vediamo questo tipo di formaggio da cucina come un potenziale sostituto della carne anche in Occidente, dove ci piace grigliare e friggere il nostro cibo».
Nel concludere la presentazione dello studio, i ricercatori hanno precisato che, “nonostante i buoni risultati già ottenuti da questa nostra ricerca, ulteriori approfondimenti potrebbero aiutare a perfezionare l’esperienza del gusto, prima che il formaggio entri in produzione”.
21 marzo 2025