
Se c’è un territorio, in Italia, in cui il presepe ha avuto nei secoli notevole rilevanza per le tradizioni e forti legami con le produzioni artigianali locali, quello è il napoletano. Ed è una vera e propria arte, quella del presepe partenopeo, le cui radici affondano sino all’anno Mille, intrecciandosi nel tempo con le vicende delle famiglie nobiliari, dei sovrani, dei ceti più o meno abbienti, e mutando nel tempo, attraverso l’evoluzione di un mondo manifatturiero vivacissimo, che ebbe nel Sei e Settecento il proprio periodo aureo.
Una tradizione, che pur essendo rimasta viva, dalla fine dell’Ottocento iniziò a perdere le connotazioni epocali che i secoli precedenti avevano portato con sé. Vale a dire che presepi se ne continuano ad allestire, più o meno storici e preziosi (ne esiste un collezionismo internazionale, ndr) ma che nessuna nota stilistica del periodo è più stata rintracciabile in essi, negli ultimi 120 anni.

I presepi nella cronaca odierna
La grande attenzione che i media locali offrono puntualmente ogni anno a questo elemento della tradizione, ci propone in questi giorni il presepe napoletano in due accezioni decisamente insolite: i manufatti esposti presso il Museo della Certosa di San Martino, la cui sezione presepiale si è arricchita nei giorni scorsi di figure per alcuni versi insolite – lo storpio, il gobbo, la nanetta, e così via dicendo – che ci mostrano in una cruda ma verosimile rappresentazione il mondo dei pastori di fine Settecento (ce ne parla il quotidiano il Mattino), e il presepe della solidarietà di Forio d’Ischia.
Se nel primo a pesare è il fine documentaristico che il museo si pone, e se da esso emerge il valore artistico e il peso di una società – quella pastorale di allora – ancora alle prese con la malattia come elemento visivamente compromissorio, nel secondo i pastori scompaiono del tutto. Scompaiono per essere sostituiti da prodotti alimentari.
L’iniziativa, ospitata presso l’oratorio dell’Assunta di Forio, nella Basilica di Santa Maria di Loreto, ha il nobile fine di destinare generi alimentari non deperibili alle parrocchie del territorio e, da queste, alle famiglie più bisognose. In esso, avvicinandosi all’installazione i fedeli potranno notare sì le confezioni di pasta, le scatole di pelati e di tonno, le buste di caffè, le scatolette di sughi pronti e di sott’oli, ma non più i pastori. L’opera di rimozione dei quali, si estende ormai dall’immaginario collettivo dei nostri tempi alle rappresentazioni figurative quale il presepio è, e se ciò accade nella stessa “casa del Signore”, qualcosa immaginiamo dovrà pur significare.
La nostra speranza è che in futuro i fautori dell’iniziativa vogliano restituire ai pastori la scena che per secoli li ha visti protagonisti, affiancando magari ad ognuno di essi un dono. E sostituendo magari le produzioni industriali con quelle dei pastori stessi.
18 dicembre 2017