Un’alta concentrazione di penicillina nel latte crudo di un’azienda agricola porta di nuovo alla ribalta il valore e i rischi legati al consumo di latte, nella fattispecie latte crudo. È accaduto a Bussoleno, in provincia di Torino: secondo quanto rilevato dagli ispettori dell’Asl, nel latte appena munto dell’allevamento è stata rinvenuta una concentrazione di penicillina di 58 microgrammi per chilo, enormemente più alta rispetto al limite massimo (4 microgrammi per kg) ammesso per legge.
Il titolare dell’azienda, di cui non è stato rivelato il nome, è stato denunciato per la violazione della legge sugli alimenti. Agli inquirenti ha dichiarato candidamente di essere stato vittima di una distrazione: l’antibiotico, secondo le sue affermazioni, era destinato ad una vacca in asciutta, ma erroneamente è stato somministrato ad una in lattazione.
La spiegazione, assai poco credibile, non scagiona l’imprenditore: in buona fede o meno, stava per mettere in vendita un alimento “fuorilegge”, e forse lo aveva già fatto nei giorni precedenti al controllo. La vicenda propone nuovi dubbi sulla validità del prodotto latte, su cui di fondo rimangono i dubbi della necessità di bollitura (se prodotto “a regola d’arte” non servirebbe ma la legge la impone a titolo cautelativo), ma nel caso della presenza di medicinali nessun trattamento termico può risultare risolutivo.
Come anche nessuno può restituire qualità reale ad un latte che, seppur crudo, può provenire – chissà! – da vacche alimentate a insilati e mangimi. Pastorizzazione sì, pastorizzazione no: questo NON è il problema. Il problema è e rimarrà sempre legato all’alimentazione delle bovine e al tipo di allevamento a cui esse appartengono.
La Procura della Repubblica di Torino – fanno sapere le agenzie di stampa – ha aperto un’inchiesta sulla vicenda. Alleluja!
6 ottobre 2012