“Buono da mangiare” sarà d’ora in avanti e sempre più non solo il cibo saporito e gustoso, ma anche e soprattutto quello prodotto evitando le sofferenze degli animali che nascono per essere allevati e per finire sulle nostre tavole. Prodotti che rispondano a queste caratteristiche dovranno essere riconoscibili attraverso l’adozione di un marchio “etico”.
A indicare la soluzione per armonizzare la tutela dell’alimentazione umana e il benessere reale degli animali “da reddito” è stata Cinzia Caporale, a nome del gruppo di lavoro che ha elaborato il “Parere in tema di benessere animale e alimentazione umana”, da lei coordinato. «Il Comitato Nazionale per la Bioetica», ha dichiarato all’Adn Kronos la Caporale, «ha sempre manifestato attenzione per la questione etica della tutela del benessere animale nei differenti contesti di vita e di utilizzazione da parte dell’uomo». «Spesso», ha proseguito l’esperta di etica dei consumi, «si parla della sofferenza di singoli animali o degli esemplari usati dalla ricerca, ma c’è troppo silenzio sulla sofferenza di miliardi di animali usati come macchine da produzione»
In un suo documento il Cnb ha sottolineato che “pur riconoscendo come legittimo l’interesse umano a prezzi contenuti e non mettendo in discussione il mangiare prodotti di origine animale, stabilisce che questa sofferenza non si può più ignorare. Anzi, con misure contenute e creando mercati paralleli, sarebbe possibile trasformare la tutela nei confronti di questi esseri senzienti in un valore aggiunto per i consumatori e il made in Italy, anche in tempo di crisi”.
Nel mirino degli esperti ci sono la tendenza alla diffusione di forme di produzione industriale “che penalizzano sensibilmente la qualità di vita degli animali”, si legge nel documento. Buono da mangiare è anche ciò “che esprime le nostre opzioni di valore, ciò che è conforme a determinati requisiti etici di correttezza e trasparenza dell’intera filiera produttiva nonché di attenzione nei confronti dei parametri del benessere animale”. La posizione del Cnb è diretta a sostenere un’etica della biocultura che consenta di superare una concezione dell’animale esclusivamente quale mezzo per il soddisfacimento di interessi e di bisogni umani e in cui esso venga riconosciuto quale essere senziente meritevole di tutela.
Secondo il Cnb e a quanto dichiarato dalla Caporale «un consumatore consapevole non può dirsi innocente rispetto alla sofferenza evitabile». Per il Cnb “occorre pervenire a una valutazione globale che esamini il problema alla luce di un più ampio e lungimirante concetto di vantaggio per la società nel suo complesso, compreso quello del mondo produttivo, nel rispetto della salute umana, del benessere degli animali e della sostenibilità ambientale”. “Oltre tutto, l’Ue quantifica in circa il 2% il “costo” aggiuntivo da sopportare se si tiene conto del benessere animale, costo che però attraverso l’adozione di procedure di biosicurezza e l’accorciamento delle filiere sarebbe ampiamente ammortizzato e potrebbe non pesare sulla zootecnia e non comparire nel prezzo finale al consumatore. Proprio in tempo di crisi vanno sviluppati mercati paralleli e prodotti innovativi: «la bioetica per l’economia», ha concluso la Caporale, «è uno strumento insolito ma realistico per scelte moralmente consapevoli e valorizzazione della produzione nazionale».
20 ottobre 2012