Nitrati: la zootecnia intensiva inquina e gli italiani pagano il conto

 Torna d’attualità la “questione nitrati” in Italia, e stavolta davvero interessa tutti, sia per il pesantissimo impatto ambientale che rappresenta per la qualità delle acque di un vasto territorio, sia  – anche e soprattutto ora – perché Bruxelles ha deciso che la sua pazienza è finita. Si va verso una supermulta che pagheremo tutti. E perché? Perché le lobby della zootecnia intensiva e quelle dell’agricoltura che le sta alle spalle (la monocoltura di mais, “tipica” della Pianura Padana), principali responsabili del problema, hanno tentato in tutti i modi di eludere la direttiva comunitaria, facendo pressioni e pressioni sulla politica, sulle amministrazioni locali, sulla stampa, sino a sfiorare la prospettiva di farla franca ancora una volta. Ed è per questo – e oggi lo sappiamo con certezza – che arriverà un’altra ennesima e pesantissima stangata: dopo il danno (ambientale) la beffa (ci toccherà tutti pagare per gli errori e gli interessi altrui).

A parte i pochi grassi speculatori che ci si sono arricchiti, non si stava meglio nella dimensione di un’agricoltura e di una zootecnia rurali?

Ce ne parla qui di seguito, con argomenti illuminanti, il professor Michele Corti dell’Università di Milano e di Ruralpini.it, che ringraziamo per il prezioso contributo.


Le regioni padane non riescono a risolvere i problemi di qualità dell’acqua e dell’aria. La recente “sospensione” della Direttiva Nitrati va in un senso totalmente sbagliato. Sarà causa di procedure di infrazione (sacrosante) da parte dell’Europa (che in questo caso tutela la salute) e non fa che ritardare una reale soluzione dell’eccessiva intensità zootecnica in alcune aree della pianura padano-veneta. Ricordiamoci, però, che i nitrati sono “sottoprodotti” di quella carne, salumi, latticini di origine industriale di cui ancora troppi di noi si ingozzano con pregiudizio per la propria salute, per quella dell’ambiente e per quella del prossimo

Mentre la direttiva sulla qualità dell’aria (96/62/Ce) continua ad essere non osservata e si continuano ad aumentare i camini e la produzione di polveri sottili (vedi centrali a biomasse e biogas) anche sul fronte della qualità delle acque si fa di tutto per non rientrare in parametri accettabili previsti dai piani di risanamento.

 

 La telenovela infinita della Direttiva Nitrati (91/676/Ce) la dice lunga. L’atteggiamento del governo centrale e delle regioni padane (quelle maggiormente interessate al problema nitrati per via della presenza della zootecnia intensiva) è stato caratterizzato da una tattica dilatoria che ha portato solo con il DLgs 152/2006 e il DM 7 aprile 2006. Ad esso sono seguiti negli anni una serie di provvedimenti regionali che parlano di piani, misure per consentire l’adeguamento ecc. ecc. Il tutto, ancora una volta, per prendere tempo e cercare di rimandare in illo tempore la reale applicazione della Direttiva. Il succo della quale prevede che nelle aree a rischio (dove i nitrati sono presenti in concentrazione elevata nelle acque di falda tanto da rendere i pozzi inutilizzabili per l’uso potabile) di dove la quantità di azoto da reflui zootecnici sparsa sui campi non può essere 340 kg per ettaro (come nella generalità dei terreni agricoli) ma deve (avrebbe dovuto) essere ‘tagliata’ a 170 kg.

Nel 2006 quando il governo emanò il suddetto DL l’Italia si è salvata in extremis dall’applicazione di pesanti sanzioni. Al momento le regioni padane hanno dovuto accettare un allargamento delle Zone Vulnerabili ai Nitrati dal momento che i dati sugli elevati carichi zootecnici e sulle concentrazioni di nitrati nei pozzi (superiori al limite di legge di 50µg/l) non lasciavano scampo. Ma è stata una accettazione tattica destinata sin da subito ad una rimessa in discussione. In ogni caso, in attesa di una nuova invocata zonizzazione il 57% della pianura lombarda è inserita nelle AV (Aree Vulnerabili).  Le aree vulnerabili della Lombardia – rimaste largamente sulla carta – rappresentano oltre 800mila ettari, l’81% della superficie agricola utilizzabile, ancora peggio vanno le cose  in Veneto (717mila ettari, ovvero l’87,5% della Sau) e nel Friuli Venezia Giulia (183mila ettari; 80%), un po’ meglio in Emilia Romagna (661mila ettari; 62%) e in Piemonte (390mila ettari; 37%) .

Per compensare questa estensione delle aree vulnerabili le regioni padane hanno chiesto una deroga all’abbassamento da 340 a 170 kg di azoto per ettaro. Impegnando grandi risorse nella dimostrazione che i sistemi colturali padani possono ricevere senza provocare lisciviazione dei nitrati nelle falde più di 170 kg di N esse sono alla fine riuscite nel 2011 ad ottenere la deroga (limitatamente a determinati piani colturali) che consente di spingersi sino a 250 kg.

di Michele Corti

Ruralpini.it

 

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26 gennaio 2013