"L'uso di additivi chimici nella pratica degli insilati salverà i conti degli allevamenti industriali": è questo l'inquietante messaggio arrivato dai fautori della zootecnia industriale in Spagna, riuniti giovedì scorso per la XII Jornadas de Alimentación Animal (XII Giornata dell'Alimentazione Animale), organizzata presso la Finca Mouriscade di Pontevedra, in Galizia.
Chi salverà gli animali e i loro prodotti non lo si sa, ma pare non interessare più di tanto le industrie dei foraggi insilati e degli additivi, che nelle premesse dei lavori si erano prefissate l'obiettivo di affrontare al meglio le problematiche relative alla contaminazione dei foraggii all'interno dei silos. Problematiche queste che si manifestano nella fase fermentativa del prodotto insilato, quando, in ambiente anaerobico, si sviluppano i lactobacilli (produttori di acido lattico, necessario per l'ottimale conservazione dell'insilato) ma anche i clostridi, i lieviti e le muffe che comprometteranno la sanità dell'alimento e – di conseguenza – quella del latte e dei suoi derivati.
Tra gli esperti convenuti, di fronte ad un uditorio di oltre cento persone – principalmente agronomi e tecnici del settore che andranno poi a diffondere le "buone pratiche industriali" a migliaia di ignari allevatori – ha avuto grande rilievo la presenza di Horst Auerbarch, direttore tecnico della tedesca Addcon e di Alexandre Udina, veterinario della Adial Nutrición, che hanno presentato i risultati di diversi studi sul campo, realizzati in Germania, Svezia e Spagna per controllare lo sviluppo dei clostridi negli insilati a base di mais, erba verde e legumi.
In sostanza, al centro della trattazione dei due esperti, ci son stati pochi sostanziali argomenti: da una parte l'impossibilità di prevedere, al momento del raccolto, il livello di zuccheri e nitriti nell'insilato e l'inevitabile perdita di sostanza secca nell'immagazzinamento, dall'altra l'effetto benefico che alcuni additivi chimici (come l'acido formico, l'acido butirrico e l'azoto ammoniacale) avrebbero sia per ridurre la perdita di sostanza secca nel silos sia per aumentare l'assunzione di cibo da parte della vacca, e la conseguente maggior produzione di latte. In altre parole, la maggior spesa per i chimici – valutata in 12 euro per tonnellata di foraggio insilato – verrebbe compensata dalla maggior assunzione di cibo (+1,2/1,5Kg per capo) e dal conseguente incremento nella produzione di latte (una media di mezzo litro di latte al giorno per capo).
Laddove il problema non fosse di fermentazione del foraggio nel silos, bensì di instabilità aerobica, non temete, perché Auerbach ha la ricetta pronta: con batteri eterofermentanti, in otto settimane, o con additivi chimici in sei o sette giorni la qualità dell'insilato potrebbe "migliorare" senza dubbio.
Ma la raccomandazione più insistente da parte del tecnico tedesco è andata alla necessità di ridurre i problemi d'instabilità con l'uso di acidi organici come il sorbico, il benzoico, il propanoico e i loro rispettivi sali e batteri lattici. «Così, mentre si riduce il pericolo di surriscaldamento dell'insilato», ha sottolineato Auerbach, «in particolare in quello di mais, si contiene anche la perdita di sostanza secca e aumenta la salute degli animali». Cosa intenda per salute questo signore è presto detto se si rammenta che la vita media di una bovina da latte in un allevamento intensivo (i clienti ideali della Addcon) in cui si miri alle iperproduzioni è di quattro anni o poco più.
Ma non solo: concludendo, il responsabile dell'azienda tedesca, ha ricordato che per ogni problema c'è una soluzione; per lui che nei "problemi" degli altri ci sguazza (e che di problemi ne induce), il consiglio è lapalissiano: «attingete ai prodotti più adatti tra la gamma di centotrenta additivi presenti sul mercato».
7 ottobre 2013