La ricerca argentina chiede il metano alla Lola, oltre che il latte

Una delle vacche sottoposte alla sperimentazione tesa a ricavare metano dal rumine – foto Inta®

Uno dei fattori di maggior impatto ambientale, per il rilascio dei cosiddetti gas Ghg (greenhouse gasses; gas ad effetto serra) è rappresentato dagli allevamenti animali, e in particolare da quelli bovini. Da anni la comunità scientifica mondiale è impegnata a trovare delle soluzioni praticabili per ridurre il problema. Una delle più ardite e al tempo stesso curiosa tra di esse è stata recentemente presentata dall’istituto argentino Inta (Instituto Nacional de Tecnología Agropecuaria) e si prefigge l’ambizioso obiettivo di risolvere due problemi in un colpo solo: quello della dipendenza dal petrolio e quello dell’inquinamento generato, per l’appunto, dalle vacche.

In sostanza, il gruppo di ricerca, coordinato dal professor Guillermo Berra, si è posto l’obiettivo di recuperare gas metano dalla flautolenza delle bovine da latte, e di utilizzarlo come combustibile. Ciascuna vacca – è stato dimostrato – emette in media milleduecento litri di gas al giorno, trecento dei quali sono metano, che in una settimana sono sufficienti ad alimentare un’autovettura per percorrere oltre cento chilometri di strada, ovvero un frigorifero da 100 litri di volume a 2º-6ºC per un giorno intero.

Una soluzione al problema dell’approvvigionamento energetico, quindi, che oltre a garantire una fonte energetica apprezzabile soprattutto in territori rurali, consentirebbe la riduzione della percentuale di inquinanti rilasciati in atmosfera. I problemi pratici per passare dalla sperimentazione alla pratica di tutti i giorni non mancano e sono sia di ordine etico (ammesso che l’etica interessi chi tratta gli animali come macchine; da latte o da gas poco importa loro) che pratico. Il primo dipende dalla “necessità” di operare una captazione del gas a livello ruminale, praticando un foro sul fianco dell’animale (fistolazione) attraverso il quale una sonda recupera il metano che viene poi filtrato e inviato ad un recipiente posto sulla groppa della vacca. Il secondo, se il primo non bastasse per recedere dall’intento, riguarda la difficoltà nel confezionamento del gas, dalla sacca posta sull’animale alla bombola atta al trasporto.

Di tanti animalisti oramai impegnati nel contestare al mondo degli allevatori qualsiasi cosa, speriamo che qualcuno si muova per fermare sul nascere questa barbarie.

4 novembre 2013