Il formaggio incontra l'arte, così almeno dicono i ricercatori del Trinity College di Dublino, che giorni fa hanno inaugurato presso la Science Gallery, nella capitale irlandese, la mostra "Selfmade" di Christina Agapakis e Sissel Tolaas, che rimarrà aperta sino al 19 gennaio prossimo. L'esposizione, inserita all'interno del progetto "Grow your own: life after nature" si ripromette di esplorare il mondo della ''biologia di sintesi''.
Al centro della mostra, i batteri presenti sul corpo umano, che – prelevati da diverse persone e da differenti parti del corpo – sono stati utilizzati per innescare la produzione di differenti formaggi, partendo da latte crudo. A collaborare con gli organizzatori dell'iniziativa è stata chiamata la microbiologa Christina Agapakis della Ucla (California University), che ha spiegato nel corso della presentazione della mostra come è stata organizzato il lavoro: «siamo partiti da un gruppo di donatori che ci hanno fornito i tamponi che son serviti ad avviare le colture batteriche nelle capsule di Petri. Da qui i batteri sono stati trasferiti nel latte per la caseificazione».
«Gli appassionati di formaggio», ha proseguito la microbiologa statunitense, «non si rendono conto che molti batteri preziosi per la caseificazione sono gli stessi presenti sul corpo umano. Soprattutto tra le dita dei piedi ve ne sono di molto simili a quelli che sono in gioco nella produzione di alcuni formaggi, ma anche dalle ascelle si hanno risultati interessanti».
"I formaggi presenti in mostra", spiegano gli organizzatori, "hanno preso le proprie denominazioni dai loro stessi "donatori" offrendo il pretesto per stimolare la discussione, e – sia chiaro! – non sono destinati al consumo". In effetti, e non ve n'era dubbio, sembrerebbe che i visitatori della mostra abbiano manifestato una evidente repulsione alla sola idea di assaggiarli.
Prima di lasciare la parola agli altri autori dell'evento, la Agapakis ha voluto precisare che uno degli obiettivi della mostra era proprio quello di capire cosa induca repulsione nella gente e perché: «questa esperienza mi porta a pensare che i confini tra repulsione e attrazione siano molto personali, e che l'attrazione per i formaggi puzzolenti, possa essere legata alla cultura di origine, come anche il livello di igiene, che è molto diverso da soggetto a soggetto». Ma l'idea che maggiormente conforta la microbiologa è che d'ora in avanti «possiamo incominciare a pensare di più alle interrelazioni tra culture umane e microbiche».
«Il formaggio», ha aggiunto l'antropologa Heather Paxson, autrice del libro "The life of cheese", «è un meraviglioso "incantesimo" con cui dimostrare come la natura e la cultura non sono inscindibili, bensì pienamente implicati uno con l'altro».
Difficile, e soggettiva, sarà inevitabilmente anche l'opinione di molti su un'iniziativa come questa, che ha trovato spazio in un Paese, l'Irlanda, che non ha saputo tramandare ai produttori odierni le ricette dei formaggi d'un tempo (tracce letterarie risalgono all'VIII secolo d.C. ma senza alcuna indicazione utile per recuperare le specificità produttive dell'epoca). Una realtà, quella irlandese, che ha dovuto attendere il 2005 e un Presìdio Slow Food per darsi un unico disciplinare per tanti formaggi di piccoli produttori denominati non a caso "nuovi tradizionalisti".
9 dicembre 2013
Due video su questo progetto sono visionabili cliccando qui e qui