Mais alla diossina nella catena alimentare: tutti i retroscena e le responsabilità degli organi di controllo

Il tardivo quanto elusivo comunicato diramato dal Ministero della Salute sul mangime ucraino contaminato venduto in Italia

Ogni allerta alimentare ha una storia a sé, ma nel nostro Paese ha sempre anche una costante. Fateci caso: ogni volta che capita qualcosa di serio per la salute pubblica – o per meglio dire, ogni volta che una vicenda del genere diventa di dominio pubblico – c’è qualcuno – e molte volte più di qualcuno – che non perde l’occasione per ricordare agli italiani che il sistema dei controlli sanitari funziona. L’atteggiamento denota una discreta dose di insicurezza, di inadeguatezza e di approssimazione, oltre che una certa propensione degli apparati preposti ai controlli a prendersi gioco dei propri “sudditi”, oltre che di curarsi assai poco della loro salute.

Ce lo dimostra la recente vicenda del mangime contaminato da diossina (ben quattro volte oltre il limite massimo ammesso), che una volta sbarcato nel porto di Ravenna, ha avuto il tempo di essere venduto, scaricato, caricato sui vari mezzi delle aziende acquirenti e infine stoccato in altrettanti magazzini e consegnato ai clienti finali, gli allevatori. Che lo hanno introdotto nella catena alimentare, nelle loro stalle.

Ce lo ha raccontato, dalle pagine web del proprio quotidiano Il Fatto Alimentare, Roberto La Pira, che all’inizio della scorsa settimana non ha risparmiato critiche su critiche a chi avrebbe dovuto controllare e non lo ha fatto. O che meglio lo ha fatto come il proverbiale mandriano che chiude la stalla dopo che i buoi son tutti già fuggiti.

Gli articoli, esemplari del buon lavoro che ogni giornalista consumerista dovrebbe compiere ogni giorno, sono raggiungibili cliccando qui e qui e sottolineano come il ritardo sia stato di ben nove giorni nove, di come la cosa riguardi l’intero territorio nazionale, ad eccezione della Basilicata e delle due isole maggiori, e di come migliaia di allevatori stiano subendo il blocco di prodotti peraltro assai deperibili – latte e uova – che dovranno essere momentaneamente trasformati (il primo polverizzato) e sottoposti ad analisi, prima di essere liberati sul mercato, ovvero inviati all’inceneritore qualora il livello di diossina in essi presente dovesse risultare superiore al 32%.

La tardiva notifica lanciata dal sistema Rasff sul mangime ucraino contaminato da diossina

Gabbati gli allevatori, quindi ma gabbati anche i consumatori, perché in questi nove interminabili giorni di ritardo i primi hanno già probabilmente immesso sul mercato – a loro insaputa – prodotti alimentari non idonei al consumo umano. Perché in fin dei conti, ad immettere nel ciclo produttivo un alimento zootecnico non è che ci voglia molto più tempo di quanto se ne impieghi per dar da mangiare a un gatto, o ad un cane il proprio pasto quotidiano.

Il dito, com’è giusto che sia, è quindi ora puntato contro il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin e contro il suo “assordante silenzio”, come recita la testata web che ha scatenato il caso, e che si contende con Il Salvagente il primato di quotidiano consumerista online più seguito d’Italia. La ricostruzione dei fatti operata da La Pira mostra di quali e di quante carenze sia stata caratterizzata l’attività dei Pif  (Punti di Ispezione Frontaliera del Ministero della Salute) e degli Uvac (Uffici Veterinari per Adempimenti Comunitari) e quale sia stato l’atteggiamento mediatico scelto da chi è preposto alla buona gestione della sanità pubblica. È evidente: siamo in un Paese allo sbando e – per rimanere all’attualità di questi giorni – non lo siamo solo e purtroppo come sistema calcistico, ma – se permettete – anche e soprattutto per questioni ben più serie.

Alla prossima rete di Balotelli gli italiani torneranno a parlare di un campione sportivo. Bene, o forse anche male: l’importante è che al prossimo annuncio su un’allerta alimentare efficace non si cada più, noi consumatori, nella rete delle loro menzogne: che non si creda più alle parole di chi mente e insabbia; perché sottacere un fatto così grave è come mentire, e dicendo questo alludiamo anche a tutti quei soggetti avvezzi al trionfalismo ogni qualvolta una truffa o una zoonosi sono debellate: dalle confederazioni agricole ai consorzi, ai ministeri interessati. La loro credibilità è assai bassa, ora che l’evidenza è sotto gli occhi di una nazione.

E allora, se vogliamo tutelarci un po’ di più, se vogliamo garantire a noi stessi e alle nostre famiglie un poco di benessere – quello vero – a tavola, cerchiamo di nutrirci con meno prodotti derivati da zootecnia industriale: più è industrializzato il sistema produttivo (insilati di mais, mangimi, unifeed, etc.) più alti sono i rischi. Più l’animale mangerà invece erba, più sarà estensivo il suo allevamento, più potremo dormire sonni tranquilli. Un semplice principio cautelativo da fare nostro, giorno dopo giorno sempre di più. L’importante è non dimenticarlo mai. E divulgarlo.

30 giugno 2014

Per completezza di informazione: clicca qui per leggere il tardivo quanto elusivo comunicato del Ministero della Salute