Il latte fa bene, anzi fa male. Tanto quanto l’informazione-spazzatura

Il 28 e il 29 ottobre sono stati due giorni speciali per la particolarissima classifica che vede il latte cadere a picco nelle preferenze alimentari degli italiani, e il peso che su questa tendenza ha la stampa generalista è abnorme. Per capirlo basterà confrontare alcuni dei non pochi titoli di giornale usciti su tale tema in quelle due date:
Salute: contro osteoporosi nessun aiuto da latte e formaggio” (Panorama, 28.10)
Salute: latte bocciato, per evitare le fratture meglio yogurt e formaggi” (Meteoweb 29.10)
Bere latte indebolisce le ossa. Lo studio che lo prova” (Greenme 29.10)

Solo una coincidenza se il giorno prima – il 27 – un altro pezzo – aveva demolito l’immagine dei latti vegetali titolando “Bere latte non vaccino raddoppia il rischio di carenza di vitamina D”? Forse sì, forse no, fatto sta che quest’ultimo articolo, uscito sulla popolare rubrica “Blog/Bambini” del Corriere della Sera aveva di certo fatto irritare qualcuno e più di qualcuno tra i non pochi interessati alla crescita del mercato del cosiddetto latte-vegetale.

È come se fosse stata indetta una gara mediatica, una sfida, un attacco, e che da quel giorno una parte e poi l’altra volessero dimostrare tutto e il contrario di tutto.

Ma è anche come se il diritto all’informazione non esistesse più per gli editori e per la maggior parte dei giornalisti, che appaiono più preoccupati di fare il “copia e incolla” dei comunicati stampa che di indagare, verificare, e approfondire, per poi rendere ai propri lettori quel po’ di taglio critico che la deontologia professionale richiederebbe. Dopotutto sono loro, i lettori, i consumatori, con i propri acquisti (e le loro letture) a rendere più o meno autorevoli quelle testate.

In ultimo, un faro merita di essere acceso su un’altra responsabilità della stampa, la più facilmente risolvibile, se ce ne fosse la volontà. È un faro di una luce che rischiara a giorno il buio della notte più cupa: perché parlare sempre di latte al singolare, e mai di latti, quando non tutti i latti sono uguali (leggi qui)? Perché continuare a farlo se esistono vacche recluse per una (breve) vita (sì e no quattro anni) in stalla a mangiare insilati e vacche libere di vivere sedici anni e più, e di brucare il pascolo polifita?

3 novembre 2014