25 giugno 2009 – Ancora una volta, come da qualche anno a questa parte, l’arrivo dell’estate porta un pensiero in più per gli allevatori di bestiame. I recenti studi condotti da Cnr-Ibimet hanno confermato in maniera inequivocabile che le sempre più frequenti e forti ondate di calore nella stagione estiva arrechino importanti ripercussioni sulla salute degli animali. Per capire le dimensioni globali del fenomeno è sufficiente pensare che nel 2008 le aziende zootecniche degli Stati Uniti hanno perduto oltre 2 miliardi di dollari.
Le già poco propizie condizioni di vita degli allevamenti intensivi, che producono sulle bestie gravi stati di stress anche a temperature e umidità ottimali, tendono ad aggravarsi ulteriormente e a comportare conseguenze negative sulla riproduzione, sulla produzione di latte e sulla salute degli animali.
Negli ultimi anni, il 2003 è stato quello che più di altri ha fatto scattare l’allarme, portando mondo allevatoriale e ricercatori ad analizzare le conseguenze dei fenomeni meteo più estremi e studiare i rimedi più opportuni per contrastarli.
Il recente studio Climanimal di Cnr-Ibimet ha permesso così d’individuare quali sono, sul territorio italiano, le zone in cui le condizioni termo-igrometriche possono essere rischiose per gli animali da latte e in particolare per le mucche. Per operare la ricerca, il territorio italiano è stato suddiviso in aree con omogenee caratteristiche bioclimatiche. Per ciascuna area è stato calcolato il numero di giorni in cui l’indice di disagio nelle estati comprese tra il 1971 e il 2006 hanno superato i valori di soglia, e in base a questo sono state calcolate la frequenza e la durata delle ondate di calore occorse anno per anno in ciascuna area.
Per le zone appartenenti alle classi di maggior rischio (vi è inclusa la Pianura Padana), il numero di giorni più critici è risultato tanto elevato da far prevedere che nei prossimi anni la zootecnia intensiva potrebbe tendere a scomparire, mentre le zone appartenenti a classi di minor rischio potranno guardare serenamente al futuro almeno sin quando il numero di giorni a rischio rimarrà come ora basso o molto basso.
Il progressivo aumento nel tempo del numero di giorni a rischio per anno induce quindi a cercare delle contromisure adeguate, che non saranno indolori per un settore già provato dall’aumento dei costi di gestione e dalla sempre più bassa remunerazione del prezzo del latte. Tra queste, la ventilazione ad aria forzata delle stalle, un’adeguata disponibilità di acqua, e mangimi specifici e adeguati a sostenere lo stress termico.
Come al solito, andrà meglio agli animali appartenenti alla zootecnia non intensiva, che possono pascolare liberamente, praticare alpeggi e transumanze. E aggiungere un fattore in più – in tema di benessere animale – nella loro indiscutibile supremazia sui loro simili appartenenti alla zootecnia intensiva.