La zootecnia intensiva si preparerebbe a compiere un nuovo salto nel buio. È quanto lascia credere la pubblicazione di uno studio che, per ridurre le emissioni di CO2 nell'ambiente – enormemente più elevate di quelle della zootecnia estensiva – propone di sottoporre le bovine da latte a trattamenti ormonali periodici. Della serie "ho creato un problema enorme (industrializzando gli allevamenti) e per porvi rimedio provo a vedere se ne creo un altro", forse più grande o semplicemente senza riuscire ad ottenere alcun risultato utile.
Allarmanti sono i motivi – la crescita esponenziale della popolazione mondiale – che spingono in una direzione caratterizzata da un'alta incertezza dei risultati. Si dovrebbero cercare risposte ecosostenibili ma si batte sempre sul solito tasto: le vacche devono essere rese più efficienti, devono garantire un maggior numero di vitelle nella loro pur breve "carriera" (spesso una vita infernale, ndr) e a questo straordinario obiettivo, figlio del più alto ingegno scientifico, si può puntare con trattamenti ormonali. Incredibile!
La ricerca, sviluppata dalla The University of Nottingham è stata condotta dal dottor Sion Archer, ricercatore della School of Veterinary Medicine and Sciences. «I trattamenti ormonali di routine», afferma il dottor Archer, «potrebbero migliorare l'efficienza permettendo di ottenere un maggior numero di vacche gravide rispetto al passato. Questa prospettiva è migliore sia per l'ambiente sia per ciascun litro di latte prodotto. Sarebbero sufficienti un minor numero di animali, il che genererebbe meno rifiuti. Questo vale per qualsiasi razza bovina e per la maggior parte delle aziende agricole, ad eccezione di quelle che sono già oggi gestite in maniera ottimale»
Ad alimentare i forti dubbi sulla percorribilità di questa strada sono – assieme all'incertezza che trasuda dalle affermazioni del dottor Archer – anche la natura della ricerca, basata sull'uso – è stato dichiarato dagli stessi studiosi – della simulazione stocastica: una sperimentazione basata su criteri probabilistici e di per sé aleatori. Come risponderanno le bovine? Con una genetica così specializzata come quella introdotta oramai nelle stalle di maggiori dimensioni, quali risultati ci si dovrebbe aspettare? Non è forse l'infertilità sempre più grave (da loro causata) uno dei fronti su cui un tale "progresso" ha manifestato il suo fallimento? Cosa si vuole ancora chiedere a degli animali la cui aspettativa di vita si è ridotta (a forza di "specializzare") a due o tre lattazioni appena (venti anni fa le Holstein vivevano mediamente più di dieci anni; oggi a malapena tre, ndr) ?
Perché, anziché insistere su un modello manifestamente fallimentare, non si ripensa l'alimentazione umana, orientandoci verso il "poco ma buono", basandoci sui prodotti di zootecnia estensiva (altamente meno impattanti) e riducendo i consumi di carni, latte e derivati?
185 giugno 2015
Per chi voglia approfondire, la ricerca della The University of Nottingham, intitolata "Use of stochastic simulation to evaluate the reduction in methane emissions and improvement in reproductive efficiency from routine hormonal interventions in dairy herds", è consultabile integralmente, cliccando qui