Il Giappone torna a produrre energia nucleare. Ne dà notizia il sito web della Bbc (leggi qui), riferendo che la Kyushu Electric Power è stata autorizzata a riavviare il reattore numero uno nel suo impianto di Sendai, nella prefettura meridionale di Kagoshima. L’impianto ha così potuto tornare ad operare – secondo norme di sicurezza più restrittive – nonostante il diffuso timore della popolazione e le reiterate proteste, che nei grni scorsi si sono concentrate presso la residenza del primo ministro Shinzo Abe e all’esterno dell’impianto stesso. A capo dei manifestanti appare sempre più di sovente Naoto Kan, che all’epoca del disastro di Fukushima ricopriva l’incarico oggi di Shinzo Abe: chi lo conosce parla di un uomo profondamente cambiato, fortemente impegnato ad arringare i suoi attuali seguaci al grido di “Non abbiamo bisogno di centrali nucleari”.
Al di là di questa riapertura, la questione si è fatta assai seria, visto che il programma governativo prevede la riattivazione di altre ventiquattro centrali. Davanti a questa prospettiva, l’opinione pubblica è letteralmente scossa, ed è il primo ministro in persona a cercae di tranquillizzare l’opinione pubblica: «Kyushu Electric ha posto la sicurezza al primo posto, attuando le massime precauzioni per il riavvio». La verità è anche un’altra: dopo la chiusura delle centrali seguita al disastro di Fukushima, il Giappone ha dovuto ripiegare sull’uso dei combustibili fossili (d’importazione). L’alto costo di esercizio di questi – accompagnato dalla necessità di ridurre la CO2 – ha così riportato il nucleare ad essere una necessità ineluttabile per il Governo. Alla faccia dei timori, delle psicosi, del terrore che pervade i giapponesi.
Al tempo stesso – e non è né ironia della sorte né fatal coincidenza – accade che le autorità sanitarie cinesi abbiano sequestrato una partita di latte in polvere per bambini – 4 quintali – proveniente dal Giappone e prodotta in una delle aree maggiormente inquinate da scorie radioattive. A quanto si apprende il prodotto “incriminato” non risulterebbe contaminato a tal punto da essere sottoposto a distruzione o a quarantena, per cui l’operazione sembrerebbe rispondere più alla logica di un braccio di ferro diplomatico che a reali misure cautelative.
Il sequestro, a cui è seguita la restituzione del prodotto al mittente, sarebbe avvenuto a fine luglio, a un mese dalla formale richiesta con cui il Governo di Tokyo aveva richiesto alle autorità cinesi l’alleggerimento delle restrizioni alle importazioni di prodotti alimentari giapponesi. In precedenza, il 19 giugno, il ministero agricolo giapponese aveva colto l’occasione di un incontro a Pechino per richiedere la risoluzione dei divieti d’importazione, ancora applicati a dieci prefetture giapponesi. Va altresì ricordato che nel dicembre 2011, a nove mesi dal disastro di Fukushima, un alto livello di cesio-137 fu rilevato proprio nel latte per bambini importato in Cina dal Giappone.
Ora che il tema della contaminazione nucleare degli alimenti è tornato tra gli argomenti “caldi” del contendere tra i due Stati, il mondo della ricerca torna a sottolineare che anche la più infinitesimale contaminazione radioattiva dell’organismo umano può provocare il cancro. Eminenti esponenti della comunità scientifica internazionale, tra cui il dottor John Goffman, la dottoressa Rosalie Bertell, i dottori Ernest Sternglass e Jay Gould, son tornati tutti a suggerire la massima attenzione e la necessità di applicare il principio di precauzione, tanto per l’ingestione di alimenti quanto per la respirazione di sostanze anche solo sospetti di inquinamento radioattivo. Ne dà ampia nota il Global Research (leggi qui), rammentando che – nonostante l’alto livello di guardia operato in Europa – nel luglio del 2011 in Francia fu sequestrato tè altamente radioattivo proveniente proprio dal Giappone.
12 agosto 2015
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