“Il latte Uht non offre alcun apporto nutrizionale”. Lo racconta molto semplicemente, con il tono di chi sa il fatto suo, la giornalista francese Véronique Richez-Lerouge specializzata nel settore lattiero-caseario. A dare spazio, alcuni giorni fa, alle sue profonde conoscenze del settore è stato il sito web del settimanale Le Nouvel Observateur, che ha sottolineato un concetto che non meraviglierà i nostri lettori, vale a dire che “solo il latte crudo è buono” (aggiungiamo noi: se l’animale è stato ben nutrito”, ndr).
La Richez-Lerouge, che è autrice del libro “La vache qui pleure” (“La vacca che piange”, Nouveau Monde Éditions, 2016), ha di recente pubblicato un breve video – solo nel proprio idioma, purtroppo – in cui sintetizza i contenuti del volume, e il succo delle proprie conoscenze, fatte approfondendo – in anni di attività – tutti i vari aspetti della produzione di latte, dall’alimentazione degli animali ai processi di trasformazione della materia prima, che mai risultano indolori per la qualità nutrizionale della stessa: dalla pastorizzazione alla scrematura, dall’omogeneizzazione alla standardizzazione.
Ripercorrendo alcuni dei luoghi comuni più diffusi in materia di latte, la giornalista si chiede se sia vero che “le donne incinte dovrebbero consumare latte e formaggio sterilizzati” e risponde che questo è assolutamente “sbagliato, e che”, a suo avviso, “devono consumare latte crudo”. E sui “bambini, che dovrebbero essere nutriti con il latte in polvere”? Niente di più “falso”: se non altro perché “la polvere viene trattata sette volte”. Infine, domandandosi se il “latte vaccino è allergenico”, ecco che la replica si fa rivelatrice, perché, oltre ad essere un concetto “completamente falso”, bisogna capire che il problema è “il latte industriale”, che “è indigesto” e diventa “ancora peggiore se per scaldarlo viene messo nel forno a microonde”.
Il suo libro, pubblicato all’inizio del mese di marzo, esorta ad un ritorno al latte naturale, per motivi nutrizionali e per una buona salute del consumatore, promuovendo la vendita di latte crudo biologico. Il volume – una vera e propria indagine sul mondo latte – è supportato da autorevoli studi scientifici e da analisi di laboratorio che dimostrano come gli eccessivi trattamenti effettuati dall’industria finiscono per essere dannosi per la salute umana.
Uno dei casi più eclatanti tra quelli raccontati riguarda il latte Uht sterilizzato, che per via del trattamento termico subito (130-170°C!) diventa “un prodotto assai povero, indigesto, allergenico e in grado di aumentare il rischio del colesterolo cattivo”. Questo perché “il suo eccessivo riscaldamento danneggia gli enzimi e la sua omogeneizzazione porta le cellule del grasso ad esplodere”. “Oggi, purtroppo”, sottolinea la Richez-Lerouge, “la maggior parte del latte risulta avere anche a che fare con gli Ogm, e questo per soddisfare le esigenze dell’industria alimentare”.
Le vacche poi sono delle vere e proprie “”Formula 1″: devono produrre una tale quantità di latte – fino a 10 tonnellate all’anno per capo! – e per questo sono spesso soggette a contrarre la mastite, infiammazione della mammella”, spesso recidiva e comunemente soggetta a trattamenti antibiotici. Conclusioni? Il libro si chiude con le analisi di prodotti come il latte “Dairy Hermitage” del gruppo Lactalis, venduto con il marchio Delisse, e il latte intero Candia della Sodiaal, che risultano poverissimi di microflora: il “segreto” che li rende conservabili 150 giorni fuori dal frigo, ma che li condanna ad essere definiti “nutrizionalmente inutili”.
11 aprile 2016