Esiste in commercio un formaggio per bambini? È la domanda che si è posto, giorni fa, il sito web della Rtbf (Radio Televisione Belga Francofona). La questione incontrerà di certo l'interesse di molti nostri lettori, ma noi che oltre ad occuparci di produzioni lattiero-casearie siamo operatori dell'informazione, non potevamo che apprezzare – e molto! – l'iniziativa ed è presto detto il perché: in genere i grandi operatori della comunicazione, vivendo di pubblicità, antepongono gli interessi propri e quelli industriali al bene comune, alla salute pubblica, al benessere reale della gente. In questo senso la radiotelevisione belga è la classica voce fuori dal coro che merita un plauso sincero e incondizionato. E la massima attenzione per ciò che ci racconta, e ancor più per i ragionamenti che ci porta a fare.
"Il formaggio", spiegano i redattori della Rtbf in un articolo intitolato "Le fromage pour enfants est-il réellement différent du fromage classique?", "è un alimento spesso somministrato ai bambini, perché è ricco di calcio, e il calcio è un elemento fondamentale nella formazione dello scheletro". "L'argomento" – incalza il pezzo – "è un classico per l'industria casearia", che da qualche tempo a questa parte lo utilizza – tanto in Belgio quanto in Italia e altrove – per arginare una crescente disaffezione dovuta alla sempre più frequente disinformazione sul tema. Da queste colonne abbiamo spesso riproposto la questione nella forma che riteniamo più corretta, che è quella della consapevolezza e del dubbio: "il latte fa bene, il latte fa male"? Dipende dalla vacca: da come si trova a vivere e da ciò che mangia.
Attenzione però: la domanda del sito belga non è fine a sé stessa ma di stringente attualità, in quanto è di recente sbarcato sul mercato di quel Paese un cheddar industriale a forma di orsacchiotto. Ben inteso: nulla di nuovo in quanto a tipologia di prodotto; se ne conoscevano varie altre, della medesima azienda – la Kiri – e di vari suoi competitor, dalLa Vache Qui Rit, alla Babybel, che oltre ad essere leader in questo segmento di mercato è anche presente sulla scena alimentare italiana.
Orsacchiotto o meno, i meccanismi di persuasione (ne parliamo in altro articolo odierno: clicca qui) sono gli stessi. Gli argomenti appaiono semplici e diretti: l'industria sembra dire "non ti diciamo con che latte è fatto (meglio non dirlo, di questi tempi, dopo la "rivolta" anti-Parmalat sui social, vedi foto Babybel, in questa pagina, e leggi qui) ma tu capisci che con soluzioni accattivanti per i tuoi figli (sagome, formati, pakaging) finalmente riuscirai (forse) ad avvicinarli al formaggio. Ovvio che oltre all'aspetto esteriore le aziende produttrici fanno a gara nel dare ulteriori elementi a chi opera una scelta per i propri figli, allora eccoci ricadere in una delle grandi armi del marketing: l'arte del "tutto che significa poco o niente", ovviamente ben "strillato" sulle confezioni, in modo che tutti possano leggerlo: "senza conservanti", "senza coloranti artificiali", "ricco di calcio" "-50% di grassi" e via dicendo.
Da qui a parlare di formaggi appositamente progettati per i bambini ce ne corre. Eppure per "loro" (le industrie) il passo è breve; si troppo breve. A pensarci bene chiunque, con uno stencil, due olive e un ravanello, potrebbe trasformare una fetta di formaggio in un curioso pupazzo. L'industria semplicemente si inserisce in quel vuoto (di iniziativa, di tempo, di stanchezza, di inconsapevolezza) che il genitore lascia tra quel che c'è da fare e quel che riesce a fare: ti fa trovare, sullo scaffale del supermercato, il prodotto giusto che ti risolve il "problema" e tu lo compri. Niente di più semplice. Peccato che in questo modo un formaggio da 10-12€ al chilo arrivi a costarne 24€, senza offrire alcun valore aggiunto sul piano nutrizionale.
Secondo il dietologo Emilie Thomas, intervistato per l'occasione dal sito belga, questa iniziativa "non educa veramente a mangiare del vero formaggio. Sarebbe molto meglio se le mamme tornassero a preparare, di tanto in tanto, una porzione di groviera o di emmental per lo spuntino dei propri figli". Incalzato dai redattori della Rtbf, il dietologo ha azzardato una sorta di approvazione per l'aspetto psicologico del prodotto, definendolo "ben studiato per il suo aspetto ludico: il bambino può staccare le parti che compongono il volto dell'orsacchiotto e mangiarle separatamente", e così l'obiettivo di far mangiare il formaggio al bambino è stato raggiunto.
Quel bambino diventerà un adulto
Ma che formaggio si abituerà a mangiare in futuro l'uomo che da bambino è cresciuto formando il proprio gusto in questo modo? Quali sapori cercherà da grande? Quanto gradirà una fetta di formaggio contadino, così esuberante in sapori da poter essere giudicato, il più delle volte "troppo forte", e scartato da chi si è conformato alla globalizzazione del cibo? Il quesito rimane aperto per ognuno dei nostri lettori: la risposta va cercata tra i formaggi che costino almeno 24€ al chilo, e la scelta – parola di Qualeformaggio – e vedrete da voi che la scelta si farà assai ampia. Anche tra i formaggi realmente salutari (animali allevati ad erba e fieno, pochi concentrati). Comprate quelli per i vostri figli. Poi l'orsacchiotto a casa lo preparate voi. Sarete i più bravi papà e le più brave mamme di questi nostri tempi. E potrete esserne fieri.
2 maggio 2016
per approfondire:
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