I figli sono figli, c’è poco da fare. Sembrerà una banalità, ma quel che per noi è carne della nostra carne e sangue del nostro sangue, per qualcun altro, non è che un numero. E tanti numeri fanno una massa, un’insieme di soggetti con determinate caratteristiche, necessità, limiti e potenzialità ben conosciuti, da chi vuole farseli clienti. L’industria li conosce bene, nel loro insieme, ne studia attentamente la realtà, insinuandosi nelle fragilità di famiglie raramente mono-reddito (per mantenere una famiglia di stipendi ne servono due, quando bastano, ndr), raramente con del tempo a sufficienza per crescerli come si vorrebbe, i figli (ammesso che sia abbiano delle idee su come fare, ndr), e allora ecco che nelle crepe di una società sempre più caracollante e incerta, diventa gioco facile – per le industrie – ottenere il proprio risultato.
L’inganno industriale è dietro ogni angolo
I grandi mezzi di comunicazione di massa – le tv innanzitutto – raggiungono efficacemente tante teste troppo spesso prese da altri pensieri. Teste che a volte sembrerebbero semivuote, tanto sono pronte ad accogliere e fare propri dei concetti calati dall’alto e facili da assimilare. Le armi e le tecniche di persuasione di massa sono ultra-collaudate e sempre più ficcanti, secondo un cliché che per molti versi si ripropone invariato: in una prima fase, che nel corso degli anni si fa sempre più “breve” (quando i bimbi hanno quattro anni o meno, ndr), i genitori “scelgono” per i propri figli, o almeno credono di scegliere, in base alle proprie conoscenze, mai – o quasi mai – del tutto consapevoli.
Superato quel ciclo, i genitori iniziano a subirle le scelte, accogliendo – di tanto in tanto e sempre più spesso – i “desiderata” dei loro figli. Dapprima un giocattolo o una felpa (ovviamente griffata, ndr), poi il cellulare (il più tecnologico, e non si badi a spese!), il motorino e via via… crescendo, sinché le finanze lo permetteranno.
La chiave di volta di tutto ciò, lo sapete – la debolezza delle debolezze – sta nel non saper dire di “no”. Fateci caso: si fa prima a dire “sì” che “no”: il “no” è privazione, è togliere, è levare, il “no” scatena reazioni mai semplici da gestire; il “sì” è il dono e rende felici, il più delle volte ha effetti effimeri e per di più genera “dipendenza”.
Senza consapevolezza alimentare siete spacciati
State attenti però: quando l’oggetto del desiderio, o l’esigenza indotta, riguardano il campo dell’alimentazione, se non siete certi che sia un sano nutrimento, sarà facile che si tratti di “veleno”: di qualcosa che faccia male, in quanto poco salubre. Un cibo-spazzatura non necessariamente è brutto quanto cattivo. Anzi. Il cibo che fa male – male alla salute, al fisico e alla mente – a volte è persino “bello”. I suoi produttori hanno affinato l’arte di presentarlo, di eludere e nascondere, assoldando uomini di scienza pronti a raccontare il falso pur di convincerci a mangiarne, e in vari e palesi casi hanno persino organizzato dei veri e propri dipartimenti – al servizio del marketing – specializzati nell’arte della menzogna e dell’inganno. Parlano di salute mentre le linee di produzione smerciano veleno, sotto forma di cibo. C’è poco da fare: il consumatore non ha altra scelta: o si informa o è spacciato.
Spesso e volentieri i cibi spazzatura creano dipendenza: dipendenza a un sapore, a un odore, a una forma, o a una presentazione che sia gradita all’occhio. E a un incarto che si scarti bene, e che contenga un prodotto che ci piaccia al tatto (il tatto digitale e quello “palatale”). Chi crea questo cibo ha ancora altri esperti nell’arte dell’inganno: un colorante ben scelto aiuterà a vendere perché farà leva sull’inconscio, offrendo buone sensazioni nell’immediato, né più né meno di una droga. Ma agli ingredienti veri e propri, allo zucchero e ai grassi in primo luogo (e che grassi e zuccheri!) toccherà il compito fatale: quello della dipendenza cibica, che ci porta al consumo reiterato, per le pulsioni legate alla soddisfazione e all’appagamento dipendente.
La vicenda dei Mac & Cheese Kraft
È cronaca di questi mesi la vicenda che ha portato la Kraft a perdere milioni di dollari e quote di mercato, negli Usa, per aver dovuto cambiare coloranti e ingredienti, sotto la persone di una parte (minoritaria) del suo pubblico e una tendenza (era ora!) di un mercato statunitense che reclamava cibi più salubri. Detto fatto: l’altra parte del mercato (maggioritaria) l’ha punita, subissandola di invettive sinché il prodotto non è tornato (con altri ingredienti e coloranti) uguale a sé stesso: nel colore e nel suo gusto. La vicenda dei Mac & Cheese è emblematica di un andamento che – per quanto esasperate siano certe situazioni negli Usa – non può non farci riflettere su cisa portiamo in tavola anche noi europei ed italiani, giorno dopo giorno. Dal piatto pronto in cinque minuti alle insalate di terza gamma.
La ricerca dell’Università di Montreal
E dall’americanissimo Mac & Cheese all’Europa del formaggio il passo appare assai più breve di quanto lo si possa credere. Ci aiuta a farlo una recente ricerca scientifica condotta dalla ricercatrice Anne Des Roches, presso la University of Montreal, in Canada, e pubblicata a fine aprile dal sito web “Pediatrics”. Gli studiosi canadesi hanno preso in esame la densità minerale ossea di 81 bambini in età pre-adolescenziale, 52 dei quali affetti da allergia al latte vaccino e 29 con allergie ad altri alimenti. I ricercatori hanno appurato che i bambini allergici al latte vaccino hanno più probabilità di avere ossa più deboli rispetto ai loro coetanei che hanno altre allergie alimentari.
I ricercatori canadesi hanno inoltre scoperto una bassa densità minerale ossea nel 6% dei bimbi con allergia al latte di vacca, e nessun problema del genere nei soggetti non allergici al medesimo alimento e che quell’alimento abbiano consumato con regolarità. Gli studiosi hanno inoltre dedotto che l’organismo dei bambini con allergia al latte vaccino hanno una capacità inferiore di assumere nel proprio organismo il calcio rispetto agli altri bambini presi in esame.
Gli studiosi della University of Montreal hanno aggiunto che il risultato dello studio non deve sorprendere, dal momento che che il principale intervento cautelativo sui bambini con allergia al latte vaccino è quello di eliminare dalla loro dieta proprio il latte e i suoi derivati. I risultati dello studio confermerebbero quindi che i prodotti lattiero-caseari rappresentano un’importante fonte di calcio per costruire ossa forti nella giovane età. Sempre che, aggiungiamo noi, gli animali che lo hanno prodotto siano stati ben alimentati, e che abbiano vissuto in condizioni di vero benessere animale.
2 maggio 2016
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