Quello della listeriosi è un problema sanitario globale ben presente nella vita di tutti i giorni, a qualsiasi latitudine e longitudine terrestre ci si trovi a vivere. Il batterio che la causa (listeria monocytogenes) è presente nelle acque e nei terreni, ed ha una grande capacità di contaminare il cibo e di resistere tanto alle basse temperature quanto a quelle elevate. Si tratta di una malattia infettiva a cui i giornali, di tanto in tanto dedicano qualche sporadico interesse, com’è accaduto di recente per un episodio circoscritto ad mensa di Torino (manzo precotto) e, per un caso ben più vasto ed allarmante, registrato nel sud degli Stati Uniti d’America (verdure).
Il rischio di contrarre la listeriosi – malattia infettiva anche mortale per donne in gestazione e soggetti immunodepressi – è erroneamente e troppo di frequente associato al solo latte, e in particolare al latte crudo. A confutare questa erronea tesi, arriva – sempre dagli Usa – la notizia di un caseificio – quello della Apple Tree Goat Dairy di Richfield, in Pennsylvania – da cui sono di recente usciti due lotti “incriminati”: uno a latte crudo, uno da latte pastorizzato.
A chi abbia ancora voglia o interesse a criminalizzare i soli prodotti non pastorizzati, suggeriamo la rilettura di alcuni nostri articoli presenti su questo sito e rintracciabili cliccando qui, qui e qui (per chi ne voglia cercare, ce ne sono anche altri).
A scanso di teorie di parte, quello di Richfield è il paradigma più lampante di come le contaminazioni alimentari possano prescindere dal trattamento termico della materia prima, e riguardare tanto i piccoli produttori quanto la grande industria. È bene che i nostri artigiani del latte e i consumatori consapevoli facciano tesoro di questa informazione e che – per quanto loro possibile – la veicolino ogni qualvolta gli si presenterà l’occasione di farlo.
12 settembre 2015