Una delle maggiori preoccupazioni del mondo scientifico sul futuro del genere umano è quella dell’antibiotico-resistenza, fenomeno aggravato negli ultimi due decenni dall’abuso di farmaci antibiotici da parte degli allevamenti intensivi. La resistenza dei batteri agli antibiotici è in progressivo aumento in tutto il mondo, sempre più resistenti e sempre più selezionati proprio dall’uso e dall’abuso dei medicinali che li dovrebbero contrastare, e sempre più diffusi grazie alla loro capacità di adattarsi alle più disparate condizioni ambientali.
Il fenomeno porta con sé conseguenze assai gravi: dall’aumento della mortalità al conseguente incremento dei costi della salute pubblica (degenze più prolungate, incremento dei ricoveri, ricorso a terapie con antibiotici sempre più tossici e costosi), alle sempre più ricorrenti emergenze sanitarie mondiali (Aviaria, Sars, Ebola, Zika, etc.).
Si sa che i batteri diventano resistenti ad un antibiotico attraverso naturali mutazioni genetiche, riuscendo così a sopravvivere all’azione battericida del farmaco. A questo proposito l’allarme dell’Oms è ormai molto elevato, in quanto l’unica arma che attualmente conosciamo per contrastare i batteri è quella degli antibiotici.
A dare un segnale di speranza nel contrasto di questa criticità è arrivata nei giorni scorsi una notizia dall’Australia, dove un team di ricerca della University of Sydney ha dimostrato che un piccolo marsupiale, denominato Tasmanian Devil, ha naturalmente sviluppato un’arma contro alcuni tra i più temuti batteri resistenti agli antibiotici. Si tratta di un risultato che premia l’incessante lavoro che il mondo scientifico australiano ha sviluppato in questi ultimi anni, attorno alle particolari peculiarità dei marsupiali nel resistere a diverse e gravi avversità.
Dopo aver constatato che proprio all’interno dei marsupi, per la loro particolare conformazione, sono presenti un’infinità di batteri (alcuni in grado di mettere a repentaglio la vita dei piccoli), i ricercatori sono passati ad analizzare in profondità il latte di questi animali, partendo dal presupposto che in esso fosse contenuto qualche “segreto” per cui – nonostante le critiche condizioni “ambientali” – i piccoli riescono a sopravvivere.
Così facendo, i responsabili della ricerca hanno individuato una gran quantità di particolari peptidi, denominati catelicidine, tossici per diversi microrganismi tra i più resistenti. I test condotti in laboratorio hanno assicurato che questi super-elementi contenuti nel latte dei Tanzanian Devil, avrebbero il potere di debellare diversi microrganismi particolarmente pericolosi quali gli enterococchi vancomicina-resistenti e gli Staphylococcus aureus meticillino-resistenti, altrimenti conosciuti come Mrsa, il cui ceppo CC398, strettamente legato al fenomeno degli allevamenti intensivi, è giustamente molto temuto.
Nel commentare i risultati della ricerca, gli scienziati australiani hanno sottolineato la probabile relazione tra le criticità dell’ambiente-marsupio e la presenza delle catelicidine nel latte di questi animali. Una chiave interpretativa che, se confermata, potrebbe aggiungere un piccolo ma utilissimo tassello alla storia dell’evoluzione animale. E ad una migliore comprensione del problema.
A seguito della scoperta, sono stati avviati gli studi che porteranno a produrre nuovi farmaci in grado di “mimare” le attività di questi particolari peptidi. Sinora sono state create artificialmente sei delle dodici catelicidine che caratterizzano il latte del Tanzanian Devil. Una di esse, denominata Saha-CATH5, è già risultata molto efficace proprio contro l’Mrsa.
24 ottobre 2014