
Càpitano cose nella vita che ti verrebbe da dire che il destino era segnato. A sentire quel che mi accadde da piccolo – molto piccolo: avrò avuto poco più di tre anni – qualcuno di voi penserà che oggi sono in vena di raccontare frottole, e invece no, non sono mai stato serio quanto lo sono adesso. Insomma, una mattina, seduto sul tavolo di cucina, seguito a vista dalla nonna paterna Amata (non fateci caso: in Toscana una volta circolavano nomi assai buffi), mentre il latte bollente iniziava a stiepidirsi nella tazza grande, sfuggii alle cure della mamma di mio padre, mi allungai all’indietro e finii con la testa dritta dritta nella tazza!
I ricordi sono vaghi e frammentari: il dolore no, non lo rammento, ma le grida sì, e forti, di mia mamma che corse in mio aiuto, e di mia nonna, che lanciò l’allarme. Poi le cure immediate, la pomata (con un papà premuroso la farmacia domestica non mancava di nulla) e i racconti. La passata paura narrata per giorni e giorni e a chissà quanti, e il “marchio di fabbrica” che me ne derivò per anni: Stefano diventò, per quello ed altri episodi, che seguirono (ero un po’ vivace, lo ammetto) il bambino dall'”argento vivo addosso”.
Passarono più di quarant’anni e la vita mi riportò ad occuparmi di latte (e di formaggio, soprattutto), non più da bere ma da scrivere, con l’attuale Qualeformaggio e il suo antesignano Cheese Time. Eccolo il destino che si potrebbe dire “era segnato”: in questi ultimi anni le centinaia di rassegne stampa da me spulciate hanno riportato pian piano a riemergere quella vicenda così lontana nella mia memoria, a ridarle inconsciamente lo spessore che aveva perduto nel tempo, e a riconsiderarla come non avrei potuto fare prima. Io, che all’epoca in cui mi accadde non avevo modo di valutare la cosa come adesso, per decenni non ho dato importanza al fatto in quanto tale.
Certo che oggi che qualcosa so di latte, crudo o pastorizzato che sia, “alla spina” o confezionato, fresco o uht, e soprattutto ora che della bianca bevanda conosco i termini della salubrità alimentare e dei valori nutrizionali (latte da erba o da mangimi?), non posso non biasimare i tanti che ancora lo bollono il latte. A volte provocando veri e propri incidenti domestici, come il “mio” e ancor più gravi, molto meno infrequenti di quanto si possa pensare (l’ultimo nel reggiano, la settimana scorsa, il precedente a metà ottobre nel bresciano, e altri ancora nella prima parte dell’anno) e, nelle migliori delle ipotesi, sempre disperdendo una quantità di nutrienti assai rilevante.
Il mio semplice pensiero, nell’essere un cronista e non un tecnico del settore, è che se l’industria lo pastorizza (e non lo bolle) qualche ragione ci sarà, evidentemente. Per chiarirmi e chiarire a molti di voi cosa accade in un latte portato sino all’ebollizione (100,02°C circa) la nostra Redazione ha intervistato la Dottoressa Giovanna Contarini, Direttore della Ricerca per il Settore lattiero-caseario al Crea-FLC di Lodi, uno dei massimi esperti internazionali in materia di latte.
Qualeformaggio: La bollitura appare come un retaggio di una sottocultura assai diffusa, purtroppo, che sarebbe bene cercare di correggere. Perché farlo bollire se è sufficiente portarlo a 72°C per 15 secondi?
Dott.ssa Giovanna Contarini: Far bollire il latte già pastorizzato è assolutamente inutile. Il latte pastorizzato è sano e sicuro, quindi è sufficiente riscaldarlo alla temperatura a cui una persona gradisce berlo, senza bollitura.
Qualeformaggio: Cosa si perde in termini di valore nutrizionale in quei 28°C in più per arrivare ai 100,02°C della bollitura?
Dott.ssa Giovanna Contarini: La bollitura impoverisce il latte da tutti i punti di vista: innanzitutto si riducono le vitamine più termolabili, ad esempio alcune del gruppo B, e poi si determinano reazioni di imbrunimento che coinvolgono lattosio e proteine (Maillard). Queste reazioni provocano una riduzione della lisina disponibile. La lisina è un amminoacido essenziale. Inoltre, si modificano il gusto e l’aroma: si sviluppa il tipico gusto di “cotto”, determinato dalla liberazione, sempre dalle proteine, di composti solforati.
Qualeformaggio: E per chi preferisce acquistare latte crudo, per poi bollirlo a casa? Non sarebbe sufficiente portarlo a 72°C per 15 secondi?
Dott.ssa Giovanna Contarini: In merito al latte crudo, la pentola di casa non le consentirà mai di riscaldare il latte a 72°C in tempi brevissimi, come avviene in un impianto di pastorizzazione. Il problema non è tenerlo a 72°C per pochi secondi bensì arrivare quasi istantaneamente a 72°C. È questa rapidità che preserva il latte da degradazione dei valori nutritivi e allo stesso tempo elimina i patogeni.
Un motivo in più quindi per acquistarlo pastorizzato il latte e non crudo e assolutamente non bollirlo, in quanto già pastorizzato all’origine. Naturalmente – ed è la raccomandazione che più conta – preferite latte da vacche alimentare prevalentemente ad erba e fieno, che di nutrienti ne hanno assai di più e di migliori rispetto al latte comunemente in commercio. Per capire le differenze tra i latti dell’erba e del fieno e i latti degli insilati e degli unifeed, clicca qui.
s.m.
5 dicembre 2016