I campanacci? Da millenni simbolo delle culture pastorali

Un campanaccio Premana 15, dal peso di 2 chili e 100 grammi. Gli altri modelli nelle rimanenti foto di questa pagina sono ancora più leggeri. Solo menzogne dagli animalisti nelle loro campagne contro l'uso dei campanacci - foto Giovanni Mocchi©La cronaca di questi giorni ci racconta di una signora olandese di 42 anni, tale Nancy Holten, abitante nel comune di Gipf-Oberfrick, nel cantone svizzero di Aargau dall'età di 8 anni, e del rifiuto dei suoi concittadini a concederle la cittadinanza. La vicenda, trattata anche da diversi media italiani, è stata interpretata – da chi più da chi meno – in ragione della appassionata battaglia che la Holten sta conducendo da anni sull'uso dei campanacci nella zootecnia alpina. Che secondo la signora sarebbero dannosi per le vacche.

Sul funzionamento delle normative elvetiche in materia di cittadinanza, c'è da notare quanto la Confederazione Elvetica brilli per l'esemplare sistema di democrazia diretta, che chiama i residenti stessi a decidere se accettare o meno una richiesta. E in questo caso i residenti di Gipf-Oberfrick (144 su 206) hanno deciso che la signora Holten non sarà una di loro. Sulle motivazioni e sui commenti, troppi giornali anche nel nostro Paese (leggi qui, qui e qui) hanno messo in evidenza – sfiorando in alcuni casi pietismo e vittimismo – gli opinabili valori dell'animalismo più bieco, ignorante e intollerante che esista. Quell'animalismo che induce la stessa signora Holten – che sbaglia sapendo di sbagliare, quando afferma che un campanaccio pesa 5 chilogrammi – a basare le sue crociate sul falso.

Un campanaccio da un chilo e 650 grammi al collo di questa vacca sugli alpeggi della Presolana - foto Giovanni Mocchi©Trattando di campanacci – campani, sampugn o rudun, a seconda del tipo e del dialetto – ovvero di elementi fondanti di culture identitarie alpine (e non), e giammai di strumenti di tortura come certi animalisti vorrebbero far credere, la nostra redazione ha ritenuto opportuno interpellare uno dei maggiori esperti in materia, il professor Giovanni Mocchi, etnomusicologo, docente di Metodologia e Didattica della Musica presso l'Università degli Studi di Pavia. Ecco il suo interessantissimo intervento, che sgombera una volta per tutte il campo da equivoci e speculazioni e che rende finalmente giustizia al mondo e alle culture dei pastori e dei malghesi:

I campani da pascolo sono documentati ininterrottamente almeno a partire dal re persiano Dario I il Grande, posti su cammelli, elefanti, cavalli, pecore, uccelli. In epoca romana se ne faceva un uso utilitaristico, oltre che apotropaico, ma diveniva anche un’autentica poesia del paesaggio sonoro.  Questo aspetto estetico è stato nei millenni sottolineato dalla letteratura. Sidonio Apollinare recitava: «Inter greges tinnibulatos per depasta buceta reboantes» (i pastori delle nostre montagne, gareggiano tra loro nei canti notturni, in mezzo ai greggi che fan risuonare le loro campane belando nel prato) e nel Novecento il Pascoli gli faceva eco: «Ho negli orecchi un turbinio di squilli, forse campani di lontana mandra».

Un campanaccio tra i più utilizzati, di peso inferiore al chilogrammo - foto Giovanni Mocchi©I pastori transumanti (non gli allevatori industriali che con la stabulazione non hanno bisogno di campanacci) da sempre lavorano più per un’autentica passione che per incrementare la propria ricchezza e sono i primi a capire le esigenze e cercare il benessere dei loro animali, con i quali instaurano una relazione affettiva prima che un rapporto economico. Giorno e notte, al loro orecchio esperto, gli squilli dei campani sono uno screening sonoro che serve a monitorare greggi e mandrie, a verificarne gli spostamenti e gli sconfinamenti, riconoscerne l’umore e perfino a identificarne la fuga di fronte a un’aggressione. Nelle greggi di migliaia di capi la partenza e la direzione da prendere è data dal campanaccio più potente e cupo messo al capo gregge, che quando inizia la marcia, viene seguito ‘a orecchio’ da tutti e consente di rientrare nel gruppo anche a chi si perde o sbaglia strada.

Non soltanto i pastori traggono dunque vantaggio dall'uso dei campanacci. Gli stessi animali li utilizzano per compattarsi nel buio e nella nebbia, per comunicare alla mandria la propria posizione e anche per affermare la propria superiorità (o subordinazione) nella gerarchia di gruppo.

Ci sono vari tipi di campanacci per la stessa mandria: quelli più appariscenti per la transumanza, spesso fatti indossare soltanto nel tratto che attraversa i paesi e conservati per generazioni, e quelli più piccoli da pascolo, che accompagnano l’animale per tutta la stagione estiva. Nelle transumanze, appena gli animali percepiscono il suono dei campani decorativi, si accende in loro una grande eccitazione. Le veterane si avvicinano a farsi apporre il proprio strumento. E guai a sbagliare la scelta. La regina, che cammina davanti a tutte, pretende il campanaccio più sonoro. Spesso è quella che anche lo sa suonare meglio, con l’esperienza che la contraddistingue: un passo – un colpo. Invertire i campanacci nella mandria, difatti, significa scatenare forti rivalità, per l’implicito riconoscimento del ruolo rivestito da ciascuno di essi.

Campani e collari sono spesso dei manufatti artistici, carichi di simbolismi legati alle culture pastorali, e in quanto tali non debbono essere perduti - foto di Giovanni Mocchi©Una volta al pascolo vengono invece apposti i campanacci più piccoli che di norma raggiungono al massimo i 2 kg (i più preziosi rischierebbero di rovinarsi). I mandriani, notte e giorno a contatto con i loro animali, sanno fare un’accurata scelta delle bestie a cui destinare un campano, nonché del tipo e della misura più adatta a ciascuna, secondo criteri legati alla gerarchia, all’umore, all’affidabilità del singolo capo. A ciò si aggiunge, nei più sensibili, il desiderio di creare globalmente un concerto armonico, di cui vanno molto fieri. Ancora oggi in alcune aree il campanaccio viene detto sampugn, termine di origine aramaica che significa sinfonia e ricorda proprio questa usanza di ‘dare il tono’ a ciascun campanaccio per ottenere nell’insieme una grande armonia. Ogni area, ogni vallata rispetta tradizioni locali e predilige alcune specifiche fogge e sonorità, opera di artigiani specializzati nel sapere dare forma e suono secondo le esigenze di ciascuna vallata. In Portogallo l'Unesco ne ha riconosciuto il valore, dichiarandoli patrimonio dell’umanità. Occorre riconoscere, difatti, l’esistenza di veri e propri dialetti sonori locali che spesso persistono da secoli. Per di più alcuni campani con i loro collari sono vere e proprie opere d'arte.

Nelle mandrie e nei greggi ambulanti si instaura una stretta convivenza tra diverse speci. Uomini, cani, cavalli, asini, mucche, capre, pecore condividono suoni, odori, linguaggi, orizzonti ed emozioni. Tra di loro si instaura un interscambio continuo di conoscenze: comprendendone il senso, il gregge reagisce fin dal primo comando che il pastore lancia ai cani; cani e mucche ricevono e riconoscono il nome loro attibuito; ciascun membro sa identificare chi appartiene al proprio gruppo; la voce e le parole del mandriano assumono un senso per tutti e viceversa mandriani e pastori conoscono ogni singolo animale nei tratti e spesso anche nella voce.

I campani partecipano a questo universo sonoro, hanno una precisa e secolare funzione, un loro codice, un significato relazionale e un loro incanto.

Dalle bestie, i campanacci passano agli uomini nelle ricorrenze rituali che festeggiano e propiziano la nuova stagione. E in questo caso sì che campanacci fino a 20 kg vengono orgogliosamente portati e suonati per ore e a volte per un’intera notte da veri e propri uomini-sonaglio che fanno rivivere antichi riti celtici e preromani.

Giovanni Mocchi

16 gennaio 2017